American Horror Story: Cult 7x08 "Winter of Our Discontent": la recensione

La recensione dell'ottavo episodio di American Horror Story: Cult, intitolato Winter of Our Discontent

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Spoiler Alert
American Horror Story: Cult, fase due. Una seconda parte di stagione molto ideale, dato che non manca poi molto alla conclusione, ma che ci serve per identificare uno scivolamento in avanti di alcuni rapporti decisivi all'interno della storia. Ancora una volta Cult gioca – nel senso che si fa fatica a prenderlo seriamente – con la critica sociale, puntella qualcosa nel passato dei protagonisti, costruisce finalmente un'evoluzione per quanto esagerata. Winter of Our Discontent - celeberrima citazione da Shakespeare - è un episodio che torna sul tracciato principale dopo la lunghissima, e inutile, digressione della scorsa settimana. La vicenda e l'interesse ne guadagnano.

Fase due quindi perché di fatto Kai ha raggiunto la prima parte del suo obiettivo, l'elezione al consiglio comunale. Tutto ciò che è politica e tutto ciò che dovrebbe essere dibattito viene quindi filtrato attraverso il suo sguardo e quelle che ormai sono note come le sue convinzioni. L'istituzione di un gruppo di sicurezza privato sembra un passo obbligato considerato il programma che ha fatto eleggere Kai. Come al solito ogni potenziale conflitto viene diluito nella mancanza di confronti seri, ma viene presentato come dovuto e facile da ricevere per lo spettatore. Nulla da segnalare qui.

Un po' più interessante è tutta la parte più privata dell'intreccio. Il momento migliore della puntata si ha allora in una casa degli orrori cristiana in cui realtà e finzione si confondono. Per quanto riguarda la legittimazione femminista che sembrava sul punto di esplodere la scorsa settimana, questa viene annullata da una più forte presa di posizione di Kai, che adesso ha anche un suo proprio braccio armato. Pare volersi tirare indietro il fratello Vincent, che si confronta apertamente su quanto accaduto con Ally. Qui il personaggio di Sarah Paulson cresce – o comunque cambia – e inizia a lottare per ciò che è proprio, anche sporcandosi le mani e passando dalla parte del nemico. Per la prima volta, nell'economia delle relazioni da thriller, non rappresenta più il personaggio all'oscuro che può essere sorpreso dalla scrittura, ma la figura che cerca di prendere in mano la propria vita.

Nel momento del trionfo, Kai sembra perdere pezzi di consenso intorno a lui. Alcuni di questi verranno soffocati nel sangue, e i rapporti di parentela non conteranno più, ma al tempo stesso è difficile non vedere come la fragilità si nasconda in un blocco di potere così istintivo, che punta sulla rabbia e sulla cieca obbedienza piuttosto che sulla condivisione. D'altra parte lo stesso Kai, personaggio folle, ma molto metodico, sembra credere alla propria stessa illusione nel momento in cui propone alla sorella l'idea delirante del Messia. Forse l'inizio della fine.

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