American Horror Story: Cult 7x03 "Neighbors from Hell": la recensione

La recensione del terzo episodio di American Horror Story: Cult, intitolato Neighbors from Hell

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Spoiler Alert
Un po' The Strangers e un po' The Purge, al suo terzo episodio stagionale American Horror Story: Cult continua a bazzicare dalle parti del thriller politicamente impegnato, o che almeno vorrebbe essere tale. Non funziona del tutto, ma nei suoi momenti migliori riesce a piazzare qualche idea più sottile, e quindi meno urlata, rispetto alle prime due puntate. Tutto ruota intorno alle conseguenze del cliffhanger dello scorso episodio, con Ally che sparava e uccideva una persona avvicinatasi a casa sua. Dal punto di vista narrativo l'incidente viene archiviato come “legittima difesa” e non ci sarà alcuno strascico da quel punto di vista; lo stesso senso di colpa e la necessità di Ally di venire a patti con il proprio gesto passeranno largamente in secondo piano.

Allora il gesto ha valore per ciò che scatena rispetto alle tematiche della stagione, ed è qui che il discorso si fa più sottile. In un mondo di macrocategorie, Ally e la sua compagna fanno parte di una certa tipologia di persone, che dovrebbero trovarsi accomunate dall'opposizione al Trump-pensiero, inteso nel modo più vasto possibile. Invece Ally diventa suo malgrado – e con buona pace della persona uccisa, che a quel punto diventa a sua volta un puro strumento – lo sfogo collettivo di quello stesso macrogruppo di cui pure lei farebbe parte. Quindi entra nel dibattito anche la questione degli immigrati e dell'utilizzo legittimo delle armi da fuoco.

Cercando con i propri assalitori un dialogo che non può esistere, perché loro non ce l'hanno veramente con lei, ma con l'idea che lei rappresenta, Ally si dichiara “una di loro”. Ecco, questo scontro, anche conflittuale e provocatorio, tra diversi modi di porsi e di identificarsi rispetto al dibattito sociale, è molto interessante. Lo è perché, a differenza delle urla scomposte contro il neopresidente o di una scrittura che presenta come un folle chiunque si allinea a posizioni poco condivisibili (la critica a quel punto diventa un semplice parlarsi addosso), quantomeno getta un po' di provocazione nell'intreccio.

Il personaggio di Ally, sia per questo che per altri motivi, non ne uscirà bene. In realtà non ne esce bene nessuno, in questa scrittura che fa di tutto per imperniare sulla pura irritazione tutta l'empatia che potremo provare per questi personaggi. Le prospettiva di convivere con lo sbraitare scomposto di Sarah Paulson fino alla fine della stagione è sconfortante, ma non c'è nessun personaggio che susciti sentimenti anche solo vagamente positivi. L'intreccio di per sé si mantiene confuso, ma nella nebbia misteriosa sparsa da veicoli di notte non abbiamo mai la sensazione che vi sia un disegno unitario, qualcosa da scoprire al di fuori di una grande macchinazione che probabilmente verrà giustificata più a livello tematico che narrativo.

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