Tra sberle telecinetiche e più resurrezioni di quante se ne siano viste in tutto Dragon Ball, terminano le disavventure della congrega di streghe più sanguinarie del mondo.
American Horror Story: Coven, dopo avere brutalmente reciso nelle ultime settimane i fili che lo tenevano legato alle varie storyline da concludere, condensa negli ultimi quaranta minuti stagionali la risoluzione del mistero alla base della stagione. Chi è la
Suprema? La soluzione arriva, più lineare e comprensibile di quanto, arrivati a questo punto, ci aspettassimo. Una volta tagliati con violenza tutti i vicoli ciechi e le fughe narrative inserite senza coerenza e progettualità nella storia, solo per aggiungere nuovi ingredienti nel calderone, ciò che abbiamo visto è stato il risultato dell'opera di filtraggio delle ultime settimane. Inevitabilmente migliore dell'immensa e ingombrante parte centrale della stagione, ma non per questo salvabile.
L'intero episodio, intitolato The Seven Wonders, verte sulla scoperta della nuova Suprema. C'è un incipit modellato su una specie di video musicale di Stevie Nicks, che costituisce una sorta di opening personalizzata per l'episodio, accoppiata a quella consueta che scatta subito dopo, c'è una parodia visiva dell'Ultima Cena, c'è un parallelo evidente tra la morte di Madison e la resurrezione di Zoe, e infine c'è il giusto riconoscimento alla figura martoriata di Cordelia. In realtà, salvo un folle annuncio al mondo dell'esistenza delle streghe (accolto con una certa tranquillità, bisogna dire), tutto sembra adeguarsi al copione più "tranquillo" e rassicurante che ci si potesse attendere. I buoni vengono premiati, i cattivi puniti, e c'è anche spazio per una riapparizione di Fiona (più utile come passerella per Jessica Lange che per l'effettivo impatto sulla trama).
Rispetto a
Murder House o in
Asylum,
Ryan Murphy ha deciso con
Coven di triplicare la propria scommessa, di estendere le maglie della propria narrazione, di integrare nel processo di scrittura una mitologia preesistente, quella della città di New Orleans. Non che il citazionismo non sia sempre stato al centro di
American Horror Story, ma mai come quest'anno era stato tanto esplicito nei propri riferimenti.
Murder House si rifaceva ovviamente al filone delle case maledette,
Asylum tirava dentro esperimenti, possessioni demoniache e alieni, ma tutto rimaneva superficialmente legato a soluzioni tipiche e generiche. Gli orrori di Coven hanno invece un nome:
Axeman,
il Minotauro,
Papa Legba. Si tratta di un corpo mitologico vivo e, in parte, familiare. Sembra tuttavia che nella foga di uscire per strada, raccogliere il fascino di questo mondo e trasportarlo nella vicenda stregonesca alla base, Murphy e soci abbiano tralasciato l'importante opera di integrazione, rielaborazione, adattamento di tutto questo materiale, e ne siano stati travolti inesorabilmente.
Coven è un'annata scritta semplicemente male, in maniera svogliata, senza la minima programmazione, senza fascino né creatività. Forte di un prologo anche accattivante come quello che si reggeva sul trovare la nuova Suprema alle soglie di uno scontro tra streghe e culto voodoo, il materiale della terza stagione è stato spalmato su tredici, stanchi episodi che hanno travolto coerenza interna, caratterizzazioni individuali, relazioni interpersonali. Lo scrivevamo anche qualche settimana fa: se tutto ciò fosse stato messo al servizio di un delirio puro, divertente, creativo, allora l'avremmo anche potuto accettare, ma nulla di ciò si è verificato quest'anno.
È significativo il parallelo che potremmo fare tra la costruzione dell'inferno delle streghe e il
loop terribile nel quale si è impantanata la scrittura stagionale. Senza sbocchi, senza soluzioni, costretta a ripetere gli stessi errori per troppi episodi, poggiandosi su una soluzione abusata e devastante per la tensione narrativa come quella della resurrezione. Tutto è riempitivo, nulla è definitivo, nulla è davvero importante e può essere liquidato in fretta. Ritornano alla mente le immagini dei cacciatori di streghe, del personaggio di
Kathy Bates (malamente sprecata), di "
Kylenstein", dei vicini di casa molto religiosi, del rapporto tra Axeman e Fiona, della povera
Misty Day e delle grandi aspettative con cui era partito il suo personaggio. A cosa è servito tutto questo?