American Horror Story: Coven 3x09 "Head" (midseason finale): recensione

American Horror Story si congeda per qualche settimana con un episodio dissacrante, ma anche privo di tensione drammatica

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Una delle caratteristiche fondamentali di questa stagione di American Horror Story è il suo costante porre un tono dissacrante, amorale, camp al di sopra della narrazione e di qualunque tensione drammatica, praticamente assente in questa stagione. I personaggi si odiano, si uccidono, tornano in vita, fanno finta di niente, riprendono ad odiarsi quasi sotterrando quelle tensioni che avevano portato allo scontro, pronti a continuare sulla folle strada verso la conclusione di stagione. Nulla importa, nulla ha senso, poteri casuali, alleanze casuali: ogni elemento viene sciolto in questo calderone che fonde La famiglia Addams, l'horror all'italiana, qualcosa dal cinema di Raimi (come la testa mozzata della LaLaurie). Non c'è spazio per il bene e per i giusti ma solo per diverse forme di male. I nostalgici delle prime due stagioni non gradiranno, mentre chi vuole godersi quaranta minuti di delirio totale sarà soddisfatto.

Head, un titolo che è tutto un programma, che ci rimanda all'elemento forse non più riuscito ma certamente più memorabile dell'episodio. La testa del personaggio razzista di Kathy Bates che viene costretta da Queenie a sorbirsi tutta la programmazione dello storico sceneggiato Radici, che corre, con la sua evidente impostazione sopra le righe e dissacrante, lungo tutto l'episodio, fungendo da sottofondo alle vicende che si consumano tra le fazioni magiche e non di New Orleans. Nella forte e ben gestita scena finale il commento musicale del video che Madame LaLaurie è costretta a vedere diventa il sottofondo di un massacro che si compie a poca distanza (in termini più pignoli potremmo dire che da diegetico diventa extradiegetico). E ancora una volta, al di là di logiche e caratterizzazioni, che proprio per il fatto di non esistere possono essere così agilmente superate, si erge una potenza delle immagini che diventa narrazione stessa.

Emblematico il prologo, davvero il migliore di questa stagione, nel quale vediamo un giovane Hank coinvolto in una battuta di caccia con il padre che si rivela essere qualcosa di più. Nello scontro tra streghe e voodoo si insinua la fazione dei cacciatori che da secoli portano avanti questa crociata. In un modo o nell'altro gli indizi della scorsa settimana su una storia che sempre più andava ad addensarsi vengono confermati. Le varie storyline sono sempre più legate, le alleanze, almeno fino al prossimo tradimento, sono ben chiare. Rimangono moltissimi dubbi – ma a questo punto possiamo parlare di bocciature – per le due storyline relative a Kyle e agli ultrareligiosi e malcapitati vicini di casa, mentre Myrtle sostituisce bene Misty Day, più sacrificata in questo episodio.

Questo è American Horror Story: Coven. Se la coerenza è un pregio, allora va dato atto a Ryan Murphy di aver tenuto fede alle dichiarazioni che hanno preceduto la messa in onda di questa terza stagione. Il tono è decisamente più camp, sopra le righe, ridicolo, e inevitabilmente la tensione drammatica, o se preferite, il semplice interessarsi alle sorti dei protagonisti, è venuto meno (svolgere tutto in un contesto nel quale la morte non è definitiva non ha aiutato). Questa è la situazione di uno show che è cambiato: allo spettatore la scelta se cambiare con lui o lasciarlo andare per la sua strada.

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