Chapter 7 è il miglior episodio di
American Horror Story da molti anni a questa parte. Ed è anche uno degli episodi meno simili di sempre alla serie. Prosegue sulla scia del mockumentary tracciata già con la svolta dello scorso episodio, ma ne ampia portata e conseguenze, battendo il tempo di questi
Three Days in Hell che il ritorno a
Roanoke ha comportato per i protagonisti. Lo fa a suon di morti, crudeltà assortite, una vaga ricerca del realismo che, va detto, non riesce mai del tutto a ottenere. Ma è certamente una boccata d'aria fresca per una serie che aveva girato sugli stessi schemi per troppo a lungo e che ora appare molto più libera.
Merito senza dubbio anche del minor minutaggio stagionale. Appena dieci episodi, peraltro divisi in due tronconi da cinque, con puntate da meno di quaranta minuti. Il ritmo, il coinvolgimento, i personaggi, tutto ne guadagna. American Horror Story abbraccia la sua svolta con ferocia e cattiveria, senza rallentare, senza aprire parentesi narrative assurde che giustifichino un altro episodio di normalità dopo quello che era accaduto a Rory nel finale della scorsa puntata. Sarebbe stato sfiancante. E invece no, la puntata è una corsa continua e frenetica per i protagonisti e per noi.
L'elemento scatenante è soprattutto l'apparizione, o riapparizione, di Agnes nei panni della Macellaia. Ormai completamente assorbita dalla recita, l'attrice riveste il ruolo e a farne le spese saranno i membri della crew. Ottima
Kathy Bates, che in appena due episodi ha costruito il suo miglior personaggio in American Horror Story. Ma in realtà bravi davvero tutti. La visione generalmente pulita, già vista, molto sopra le righe e quindi completamente disinnescata dal punto di vista orrorifico di American Horror Story ha trovato una nuova linfa vitale, francamente insperata, con questo nuovo corso. Senza giochetti visivi, senza un ritmo basso, ma anzi
alzando ad ogni scena il livello della trama e dell'orrore.Non tutto funziona bene in questo falso documentario, anzi. Non è una novità nel genere, ma spesso dovremo chiudere un occhio, o meglio due, sull'esagerazione nelle riprese, sulle mille fonti di osservazione, sull'ostinazione con la quale i protagonisti riprendono tutto in maniera abbastanza pulita e chiara. Su tutte, una scena con Shelby in cui l'esagerazione è talmente palpabile che la scrittura sente il bisogno di scherzarci su. Idem per almeno un momento con Audrey, che esclamerà col suo accento british "I'm not an American, I'm not used to this carnage!"
Ciò che davvero colpisce è il modo in cui una serie che ha fatto dell'introduzione di nuovi personaggi e storyline il motore della sua storia, in questo episodio prende un'altra strada. Arriveranno nuove minacce, nuovi personaggi, nuove situazioni, ma nulla di tutto ciò dà mai la sensazione di aggrapparsi a qualcosa che tenga viva la storia e la porti avanti quando non ha nulla da dire. Tutto serve
una visione dell'orrore quasi cinematografica, in cui il senso di impotenza e di soffocamento deve aumentare di pari passo, diventando sempre più grande e inatteso, fino all'apparizione finale. Reggerà per altri tre episodi? Non lo sappiamo, ma per ora va bene così.