Prima di tutto, complimenti a
Ryan Murphy. Arrivare a metà della sesta stagione e presentare uno degli episodi più stratificati e interessanti della propria storia non è da tutti. Certamente non sembrava possibile per
American Horror Story, che negli ultimi anni ci aveva abituato a standard piuttosto consolidati e nella prima metà della stagione ci aveva messo in difficoltà al momento dell'analisi degli episodi. Qui, davvero c'è qualcosa di nuovo per la serie. Non per noi o per il genere horror, che con il
mockumentary negli ultimi 10 anni ha realizzato di tutto e di più. La serie di
FX ci arriva con i suoi tempi, innovando nello stile se non nel contenuto. Tutto funziona? Probabilmente no, ma la soglia di attenzione si alza e va benissimo così.
Passo indietro. My Roanoke Nightmare, inteso sia come prima metà della stagione di American Horror Story sia come prodotto di finzione all'interno di questo universo narrativo, è terminato la scorsa settimana. Arriva il tanto anticipato twist o colpo di scena, che in realtà alla fine non si rivela tale. Questa è la prima osservazione che emerge. Sorvoliamo sulla necessità di anticipare attraverso canali esterni la svolta della serie, ma quanto al contenuto questo Return To Roanoke: Three Days In Hell non ribalta nulla di quello che era stato mostrato fino ad ora. Una storia, che ai nostri occhi fin dalla scelta degli attori non vuole apparire verosimile, viene reinterpretata da altri attori.
La differenza è che tra noi e il programma si inserisce un altro livello, quello di un mondo in cui My Roanoke Nightmare viene mostrato come serie tv a sé – quindi non facente parte di American Horror Story – e dove la sua trasmissione è stata un successo. Non si può non vedere una certa
ironia nel modo in cui la scrittura non fa altro che esaltare il grande seguito dello show, che avrebbe trionfato addirittura contro
The Walking Dead e fatto incetta di premi e riconoscimenti vari. L'idea per un seguito ideale è quindi quella di prendere personaggi reali della vicenda e attori e metterli insieme nella stessa casa degli orrori per vedere le reazioni. In qualche modo, non del tutto convincente per motivazioni, tutti concordano a partecipare alla faccenda.
Sydney, lo showrunner senza scrupoli, si prepara ad un nuovo successo, che però sappiamo già non sarà tale. Lo sappiamo dalla natura di ciò che ci viene mostrato. Noi non vediamo il programma per come doveva andare in onda, con le sue 13 puntate previste, ma come rimontaggio degli orribili eventi che accaddero in quei giorni. Sappiamo inoltre che nessuno dei partecipanti a quel progetto ne è uscito bene. Matt e Shelby si sono lasciati, Lee viene considerata praticamente un'assassina, Agnes Mary Winstead (Kathy Bates) ha avuto un esaurimento nervoso per essersi immedesimata troppo nella parte. Gli unici a costruire qualcosa di bello sono stati Audrey e Rory, che si sono sposati dopo essersi conosciuti sul set.
Il mockumentary può non essere realistico fino in fondo (suoni, musiche), ma raramente questo genere lo è. Colpiscono tutti gli interpreti, soprattutto quelli chiamati al doppio ruolo (
Kathy Bates è molto più spaventosa qui che in tutte le sue incarnazioni precedenti nella serie), che riescono a infondere alla situazione quel realismo che per altri motivi potrà mancare. Questa svolta basta a giustificare i difetti e le mancanze della prima parte di stagione? Probabilmente no, anzi un prodotto più realistico avrebbe migliorato l'effetto finale, però va detto che l'idea di inserire un nuovo livello, come detto sopra, rende molto più digeribile il tutto.