American Gods 3×10 “Le lacrime dell’albero dell’ira”: la recensione
American Gods 3x10: abbiamo davvvero aspettato tutta la stagione per questo? Più che dell’albero, le lacrime sono le nostre
E così siamo arrivati alla fine.
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E non facciamo riferimento solo ai vaghi accenni a uno dei più famosi troll – intesi come “ingannatori”, non come “creature che vivono sotto i ponti” – della storia della mitologia tutta, che aspettiamo ci venga rivelato in tutto il suo splendore nell’ormai inevitabile quarta stagione; ma soprattutto al fatto che, in una serie con un ritmo normale e un minimo di interesse nel rispettare il tempo libero di chi guarda, questa decima puntata sarebbe collocata a metà di una stagione, non in chiusura, e servirebbe per lanciare la cavalcata finale.
Che è poi quello che invochiamo a gran voce dall’inizio della terza stagione: una sterzata, un cambio di ritmo, un’accelerata, l’impressione che ci sia ancora una qualche urgenza in questa sempre più inspiegabile e astratta “guerra tra dèi” che per ora hanno passato trenta episodi a minacciarsi e insultarsi e promettersele, senza però fare davvero nulla. Paradossalmente, Le lacrime dell’albero dell’ira è ancora più rarefatta, o astratta, o vuota, delle nove puntate precedenti: non succede letteralmente nulla che non sia diretta conseguenza del finale dello scorso episodio, in compenso assistiamo ad almeno tre montaggi musicali diversi, tutti pieni dei soliti simboli e delle solite allegorie, tutti accompagnati da voci eteree che gorgheggiano, e che esistono esclusivamente per diluire il minutaggio e portare a casa quegli ultimi due minuti che sono l’unico vero guizzo di un finale più deludente della stagione che lo ha preceduto.
(finale che tra l’altro, e qui smettete di leggere se non l’avete ancora visto, resetta tutto quanto avvenuto in stagione e ne lancia una quarta che rischia molto di assomigliare a una 3bis, ma che, a meno di follie dell’ultima ora, sarà anche l’ultima di questo progetto cominciato bene e che sta finendo sempre peggio)