American Gods 3x03 “Ceneri e demoni”: la recensione

Sono passati tre episodi e American Gods continua a regalarci bellissime sequenze tutte da godere... e a girare a vuoto

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Spoiler Alert
American Gods 3x03: la recensione

C’è un’espressione diffusa soprattutto nel nord Italia, “ciurlare nel manico”, le cui origini sono discusse ma il cui senso è chiarissimo: significa continuare a rimandare un impegno con scuse e giustificazioni varie, girare volutamente a vuoto per perdere tempo in attesa di non si sa bene cosa. American Gods 3x03 - Ceneri e demoni (guarda il trailer) ne è, come è stata finora tutta la terza stagione di American Gods, un esempio da manuale.

Ciurla nel manico Mr. Wednesday, che questa settimana incontra finalmente la moglie Demetra (Blythe Danner, nientemeno) e la ritrova a svernare di una casa di cura per anziani dove l’ex dea del raccolto si è ritirata per godersi l’adorazione incondizionata, e non del tutto cosciente, delle altre ospiti. Demetra – che come tutte le divinità che incontriamo per la prima volta viene introdotto da una sorta di origin story/cortometraggio che ci fa vedere i suoi primi passi sul suolo americano – serve per la guerra, questo progetto firmato Wednesday che è in preparazione dal primo episodio della prima stagione, che sarà il culmine dell’intera storia ma che, in corso d’opera, continua ad assomigliare soprattutto un gigantesco MacGuffin narrativo utile a mettere in mostra tutte le divinità vecchie e nuove.

Ciurla nel manico Shadow, ancora alle prese con il momento Twin Peaks di Lakeside: Allison McGovern è scomparsa, e l’intera città la sta cercando per i boschi innevati; la ricerca è l’occasione per il simpatico e angosciantissimo capo della polizia Chad per scusarsi con Shadow per aver immediatamente sospettato di lui riguardo alla scomparsa della ragazza. È uno dei momenti peggiori della stagione finora: l’arrivo di Shadow a Lakeside, e l’accoglienza ricevuta, sono macchiate di uno strisciante, sistemico e molto spontaneo razzismo (Margaret che gli punta il fucile alla nuca scambiandolo per un ladro), una scelta che perde un po’ di mordente nel momento in cui viene esplicitata proprio da Chad. American Gods funziona meglio quando suggerisce che quando spiega: molto meglio allora che le scene dedicate a Shadow si chiudano con l’ennesimo cliffhanger.

Quella che più di tutte ciurla nel manico, però, è la rediviva Laura (non è uno spoiler: davvero pensavate che quella scena nel primo episodio significasse che non l’avremmo più rivista?), che si risveglia intrappolata in un purgatorio a metà tra Brazil e David Lynch, un incubo di burocrazia e ripetitività punteggiato da momenti di puro orrore circolare e altri che stanno a metà tra la tortura e la seduta psicanalitica. A che cosa serva questa sequenza non è chiaro, a parte dimostrarci che Laura è ancora assolutamente in gioco, ma come tutto quello che sta accadendo finora nella terza stagione di American Gods è per lo meno molto bella, e realizzata a partire da grandi idee di messa in scena. Tutta forma e poca sostanza, insomma: siamo ancora in attesa del momento in cui la serie riprenderà una parvenza di ritmo, nel frattempo ci godiamo le belle immagini.

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