"Hai una splendida luce in te, figliolo." Le parole della madre di Shadow riecheggiano nella mente del protagonista di
American Gods durante le torture cui viene sottoposto in
The Beguiling Man, secondo episodio di questo nuovo arco di puntate. Quella stessa luce è ciò che dirige i passi di Laura Moon verso il disperso marito, coadiuvata nella ricerca dal bizzarro alleato Mad Sweeney; la luce di Shadow, la luce di un uomo che, in accordo col proprio nome, troppo spesso si è limitato ad agire nell'ombra e, al più, a essere satellite di un corpo estraneo.
Proprio come gli accoliti di Mr. World, anche lo spettatore è portato però a pensare che dietro la rassicurante normalità di Shadow vi sia un'eccezionalità da eletto, che ha spinto Mr. Wednesday a volerlo al proprio fianco nella preparazione della grande battaglia da vecchi e nuovi dei. Una scelta seminata anni addietro, attraverso un incontro apparentemente fortuito e fugace: forse perché Shadow, proprio come Odino, Anansi e Czernobog, è un figlio del Vecchio Mondo, un eroe obsoleto approdato nella terra delle promesse, rivelatasi ben presto foriera di sventure, delusioni e lutti.
In opposizione alla funzione narrativa svolta finora, Shadow diviene qui riflesso perfetto del suo mentore e signore Wednesday; difende un retaggio più antico - il ragazzo asiatico immigrato - dalle aggressioni cieche e spietate dei nuovi dei, mettendo a repentaglio la propria incolumità per una sete di giustizia spenta dalla violenza del sangue. Per raccontarci lo Shadow del passato,
American Gods cambia formato, trasportandoci lontano dal suo sapore barocco per immergerci in un'ambientazione cinematografica che strizza l'occhio a Barry Jenkins, generando uno Shadow Moon-light di concisa efficacia.
Il tutto senza rinunciare all'eclettismo psichedelico delle sequenze dedicate a Technical Boy o Mad Sweeney e Laura Moon; proprio a questi ultimi si deve un breve intermezzo di pacata poesia lirica, un bizzarro Et In Arcadia Ego in salsa americana che vede la sposa cadavere adagiarsi placidamente nel mare d'erba, rievocando nella mente dello spettatore l'iconica Kirsten Dunst trascinata dai flutti del prologo di Melancholia. "I vermi chiamano", dichiara la giovane zombie, e in questo memento mori avvertiamo tutto il peso drammatico della sua condizione, amplificata metafora di quella di ogni essere umano consapevole della propria finitezza terrena.
Paragonate al resto della puntata, le analessi di
The Beguiling Man dedicate a Shadow non hanno niente di
American Gods e, proprio per questo, possiamo accettarle senza riserve: l'episodio in costume della prima stagione, dedicato interamente a Mad Sweeney ed Essie McGowan, si era già esteticamente distaccato dal
corpus visuale e dagli stilemi tipici della serie. Questo nuovo capitolo si inserisce in quella scia in modo meno manifesto, osando con più discrezione - i flashback sono comunque scene isolate, sapientemente incastrate nel consueto tessuto narrativo corale - ma ribadendo che no,
American Gods non segue leggi fisse, identificando nella varietà - di temi, di personaggi, di grammatica filmica - la propria coerente ricchezza.