American Gods 1x05, "Lemon Scented You": la recensione

Il quinto episodio di American Gods riflette sulle ambizioni cannibali delle nuove divinità e offre a Gillian Anderson l'occasione per brillare

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Spoiler Alert
Gli dei sono grandi, ma gli uomini sono più grandi; perché è nei loro cuori che gli dei sono nati, ed è lì che essi faranno ritorno. Così recita l'ormai consueto racconto di conquista che fa da prologo anche a questa quinta puntata di American Gods, e il messaggio è ben chiaro: un dio non esiste lontano dal cuore dei propri devoti. Dopo il focus della scorsa settimana su Laura Moon, qui rimessasi in sesto giusto in tempo per rientrare in obitorio, la serie di Starz torna a concentrarsi su Shadow Moon e Mr. Wednesday, non prima di aver appunto illustrato l'ennesimo tentativo di colonizzazione da parte di un dio antico nei confronti dell'ambita America.

L'estetica di questo prologo ha un fascino fiabesco del tutto inedito, che tuttavia rimanda a suggestioni visive proprie di alcuni grandi lavori in stop motion degli ultimi anni, in particolare alle opere della Laika. Ancora una volta, American Gods gioca con le possibilità del mezzo televisivo, offrendo agli occhi dello spettatore una nuova declinazione della meraviglia e dell'incanto, senza però rinunciare a una tremenda morale che si ravvisa chiaramente nello sgretolamento - e nel conseguente oblio - del dio Nunyunnini, presto rimpiazzato dai culti autoctoni, per necessità di adattamento delle popolazioni immigrate, dimentiche delle proprie radici in favore di un'integrazione conveniente ma, in un certo senso, cannibale.

È, però, un altro l'indiscusso highlight dell'episodio di questa settimana: benché Ricky Whittle e Ian McShane continuino a costituire un duo dall'irresistibile chimica in ogni scena che li coinvolga entrambi, e sebbene il dialogo tra Shadow e Laura sia mirabilmente orchestrato dallo stesso Whittle e da Emily Browning, è Gillian Anderson la vera stella di Lemon Scented YouL'attrice statunitense, interprete della nuova dea Media, ha già illuminato lo schermo settimane fa impersonando Lucille Ball, ma la sua versione di David Bowie e di Marilyn Monroe a pochi minuti di distanza, televisivamente parlando, è tra le più godibili perle che la serie di Bryan Fuller e Michael Green ci abbia offerto fino a oggi.

Facciamo, è vero, la conoscenza del famigerato Mr. World che Odino tanto teme, e osserviamo Odino schivare le lusinghe della ventilata "fusione" tra vecchi e nuovi dei, più simile a un inglobamento che non a una fruttuosa cooperazione; ma è Media, multiforme alleata di World e dell'arrogante Technical Boy, a risplendere grazie al caleidoscopico mutare di Anderson, che alterna la ieraticità psichedelica del suo Bowie alla sensualità svampita della sua Monroe, sfiorando con classe inusitata l'imitazione, mantenendo una misteriosa, solidissima personalità al di sotto dell'evidente capacità trasformista. Onore anche al merito di un comparto costumi, trucco e parrucco di comprovato talento, che accompagna un'attrice eccelsa nell'esplorazione e reinterpretazione di personaggi tanto iconici da accarezzare il senso del divino.

American Gods

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