American Gods 1x04, "Git Gone": la recensione

Nel suo quarto episodio, American Gods si concentra unicamente sulla storia di Laura Moon, concedendosi una parentesi di rara potenza

Condividi
Spoiler Alert
A metà del suo cammino in una prima stagione che, al di là del gusto personale, va annoverata tra le più originali e ritmicamente coraggiose della televisione recente, American Gods si concede un ulteriore cambio di marcia, interrompendo la carrellata di vecchi e nuovi dèi per concentrarsi sul più umano dei personaggi finora descritti nei propri episodi: Laura Moon (Emily Browning).

Alla fine di Head Full of Snow, il nostro Shadow (Ricky Whittle) si era ritrovato faccia a faccia con la defunta moglie, sepolta pochi giorni prima a seguito dell'incidente che, oltre a interromperne la giovane vita, aveva portato alla luce la sua relazione adulterina con Robbie (Dane Cook), migliore amico del marito. In Git Gone, il pubblico ha la possibilità di conoscere da vicino una figura che, finora, era semplicemente stata protagonista delle angelicate, nostalgiche visioni di Shadow, ma che qui scopriamo caratterizzata da sfumature ben diverse da quelle vagheggiate dal vedovo.

Sin dalle prime scene dell'episodio - magnificamente girato da Craig Zobel - osserviamo Laura intrappolata nella tediosa gabbia invisibile della routine, alla continua ma poco speranzosa ricerca di un qualcosa che le ricordi il significato dell'essere viva. Nulla la scuote, se non qualche sporadico bagno nella propria piscina, con relativo tentativo di autoasfissia causato dall'insetticida Git Gone, da cui il nome della puntata. L'incontro con il ladro male in arnese Shadow sembra prometterle qualche brivido, ma presto l'abitudine torna a inghiottire sia lei che il neosposo, spingendo Laura ad architettare un piano criminale che, tuttavia, si risolve nell'arresto del ragazzo e nel ritorno alla normalità per lei, stavolta senza neppure una spalla su cui piangere.

Caduta nella tentazione dell'adulterio, Laura trova nella fatalità della morte l'inattesa occasione di un vero e proprio ritorno alla vita, grazie alla complicità involontaria della moneta di Mad Sweeney (Pablo Schreiber). Dopo aver salvato il marito dagli scagnozzi di Technical Boy (Bruce Langley), rispondendo a una domanda rimasta nell'aria per varie settimane, fa visita alla vedova di Robbie, Audrey (Betty Gilpin), che dopo un iniziale terrore si dimostra sì rancorosa, ma non al punto da rifiutarle un aiuto per rimettersi in sesto dopo l'impegnativo combattimento per salvare Shadow. Rimessa a nuovo dalle abili mani di Mr. Jacquel (Chris Obi) e Mr. Ibis (Demore Barnes), alias Anubi e Thot, a Laura non resta che attendere Shadow, libera dalla tentazione dell'insetticida, confidando nel perdono di un uomo che solo ora sa di amare davvero.

Il peso di un episodio intimo e psicologicamente sottile come Git Gone posa quasi interamente sulle minute spalle di Emily Browning, che incarna senza sbavature la melanconica Laura, conferendole una tragicità trattenuta ma non per questo meno coinvolgente; il compito non era semplice, considerando il grado di empatia sviluppato dal pubblico, nel corso delle settimane, nei confronti del tradito Shadow. Abbiamo visto Laura attraverso i suoi occhi e le sue parole, ma seguirla direttamente nella sua altalena tra noia e dolore ci ha spogliati di qualsivoglia pregiudizio. Ora conosciamo Laura meglio di quanto non la conoscesse Shadow, e coltiviamo la fondata speranza che American Gods consenta anche al suo protagonista di vedere con occhi nuovi la donna che ha avuto al proprio fianco.

Per il resto, la serie Starz continua a confermare la propria eccezionalità visiva grazie alla felice alternanza tra componente poetica e humour nero. Velata di un'autoironia che ne salvaguarda costantemente la leggerezza, American Gods incanta lo sguardo col trionfo di sangue che è la scena del salvataggio di Shadow, per poi scendere in picchiata nell'incontro tra Laura e Audrey, ambientato nel bagno di quest'ultima durante l'evacuazione, da parte della prima, del liquido per l'imbalsamazione. Forte di un'estetica conturbante, lo show favorisce la fioritura di un materiale che, nel romanzo di Gaiman, era costretto in uno spazio ben più limitato, a favore degli eventi successivi alla scarcerazione di Shadow; senza allungarne il saporoso brodo, ma anzi aggiungendovi ingredienti coerenti e atti a esaltarne il gusto, Git Gone è una parentesi non solo utile, ma necessaria nell'arco di questa prima, notevole stagione.

American Gods

Continua a leggere su BadTaste