American Gods 1x01, "The Bone Orchard": la recensione

Inizia a prendere corpo l'eclettico Olimpo pagano di Neil Gaiman nella prima puntata di American Gods, ideata da Bryan Fuller e Michael Green

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Spoiler Alert
Believe. La parola che echeggia nel sogno del protagonista Shadow Moon (Ricky Whittle) è l'emblematico memento per chiunque voglia accostarsi alla visione di The Bone Orchard, episodio d'esordio dell'attesissima prima stagione di American Gods. Occorre infatti far piazza pulita di ogni traccia di scetticismo per apprezzare appieno la sontuosa orgia visiva offerta dal pilota della serie tratta dal romanzo di Neil Gaiman, e lasciarsi scivolare senza troppi ragionamenti nel bagno di sangue, sesso e umorismo bizzarro che lambisce Shadow e gli altri protagonisti sin dalle prime battute dello show.

Concedendosi il lusso di ampliare a proprio piacimento la materia letteraria di Gaiman, American Gods si apre con un prologo inesistente nel romanzo, eppure perfettamente calzante: un gruppo di guerrieri del nord Europa approda sulle spiagge del continente americano, che riserva loro un'amara accoglienza, spingendoli - a seguito di sacrifici più o meno cruenti - a riprendere il mare con ratta sollecitudine, abbandonando ogni proposito di conquista. Una manciata di secoli dopo, saranno proprio gli dèi da loro invocati nel momento del bisogno a tentare di soggiogare il Nuovo Mondo, incontrando la resistenza delle giovani divinità autoctone.

Lo scontro divino è, tuttavia, ancora un rumore di fondo in The Bone Orchard, che si focalizza sulla traumatica uscita di prigione di Shadow, anticipata di tre giorni a causa del decesso della moglie Laura (Emily Browning); poche ore dopo aver riassaporato una libertà dal gusto agrodolce, il giovane viene messo a conoscenza della relazione della scomparsa compagna con il suo migliore amico Robbie, morto nell'incidente d'auto che ha ucciso anche la donna. Non ci sono solo squallide rivelazioni ad attendere Shadow fuori dal cancello del penitenziario: una ghiotta offerta lavorativa come guardia del corpo del misterioso Mr. Wednesday (Ian McShane) lo attrae e ripugna al tempo stesso. Dopo aver affidato la propria scelta al lancio di una moneta truccata, il cui esito depone inspiegabilmente a favore del potenziale datore di lavoro, Shadow si trova costretto ad accettare la proposta di Wednesday, iniziando così un percorso che il finale dell'episodio ci promette essere ricco d'insidie e violenza inaudita.

La regia dell'inglese David Slade - il cui tocco sapiente è già stato ampiamente dimostrato dietro la macchina da presa di Breaking BadHannibal, e che è attualmente al lavoro sulla quarta stagione di Black Mirror - culla lo sguardo dello spettatore, suggestionandolo col rosso del sangue come farebbe un esperto torero di fronte all'avversario; rossa è anche l'alcova di Bilquis (Yetide Badaki), in una scena che lega in modo inequivocabile l'atto sessuale alla morte, riproponendo pedissequamente una situazione letteraria che era difficile immaginare trasposta sul piccolo schermo senza il rischio di scivolare nel ridicolo. Il sorriso enigmatico di Mr. Wednesday, incarnato da uno Ian McShane in stato di grazia, sembra avvolgere tutta la puntata in una bolla di sottile ironia, elemento essenziale per la comprensione di un prodotto come American Gods.

Di ingredienti per convincere il palato dei fan di Gaiman, questo pilota ne offre a volontà, combinati a creare un piatto tanto ricco quanto invogliante a proseguire il pasto. È presto, certo, per cantar vittoria, ma lo stile accattivante e personalissimo sfoggiato nei primi sessanta minuti fa ben sperare sul prosieguo di questo peculiare tripudio, che anela in ogni suo afflato a un'estetica barocca, eppure straordinariamente moderna.

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