American Crime Story 2x08, "Ricordi d'infanzia": la recensione
Il penultimo episodio della seconda stagione di American Crime Story scava a fondo nell'infanzia e nell'adolescenza di Andrew Cunanan, distrutte dalle menzogne del padre
Il prologo dell'episodio ci porta, però, in una Calabria anni '50 da cartolina seppiata, un calligrafico e irreale spot pubblicitario al sapor d'Italia che potrà apparire, ai nostri occhi, persino vagamente ridicolo; come già sottolineato nell'analisi del primo episodio della stagione, non è la verosimiglianza ciò che interessa a Tom Rob Smith, autore di un'ennesima sceneggiatura a tinte forti e consapevolmente melodrammatiche. L'effetto tragico è pienamente raggiunto, e lo spettatore carpisce il messaggio scritto a chiare lettere in questo lezioso spaccato d'infanzia del piccolo Gianni, deriso a scuola ma guidato dalla madre secondo il sano, basilare principio per cui i sogni restano tali se non si è disposti a rimboccare le maniche e versare il sudore della fronte. Insulti e insegnamenti, si badi, elargiti rigorosamente in inglese.
Modesto Cunanan (Jon Jon Briones) coccola e vizia il piccolo Andrew con una morbosità disturbante, fino a far sfociare le proprie attenzioni nella vera e propria molestia; il trauma dell'incesto è solo uno tra i molti spettri che Andrew porta con sé nel passaggio all'età adulta, passaggio che coincide con la drammatica esplosione della bolla di bugie confezionata da Modesto. Tuttavia, è troppo tardi perché il giovane possa affrancarsi dall'impronta paterna, e non basta la visita a Manila a liberare Andrew dal rischio di divenire una versione più violenta e pericolosa dell'odiato-amato genitore.
"Non basta essere intelligenti; bisogna sapersi inserire," dice Modesto al figlio mentre gli insegna le regole del galateo e della conversazione, parallelamente ai dettami fondamentali per riuscire a vendersi per ciò che non è. Su questo presupposto, Andrew baserà tutta la sua vita adulta, costruendo effimere cattedrali di menzogne attraverso cui tentare d'integrarsi in quegli ambienti altolocati a cui, da bambino, pensava di essere destinato.
Ottimo esordio alla regia per Matt Bomer, che dimostra uno sguardo coerente con il corpus degli episodi precedenti di American Crime Story, impreziosendone l'estetica con trovate visive sapientemente enfatiche: riflessi, trasparenze, simmetrie suggerite o esplicitate, come nell'efficace montaggio che alterna l'attesa del piccolo Andrew a quella del padre Modesto, entrambi alla ricerca di un'accettazione da parte di quella società "bene" di cui aspirano a far parte. Sia il successo del bambino che quello del genitore non avranno vita lunga, e la loro scintillante facciata crollerà sotto il peso della realtà, rivelando una fatiscente struttura psicologica e morale.
Così come Andrew ucciderà William Reese per sottrargli il pick up su cui fuggire alla volta di Miami, suo padre Modesto uccide le ultime briciole d'innocenza del ragazzo rubandogli la stessa auto che, anni prima, gli aveva regalato per insegnargli a sognare in grande. Proprio la fallacia di quei sogni emerge nell'ultimo, toccante dialogo tra padre e figlio a Manila, in cui l'uomo afferma con disillusa tristezza che "non si può arrivare in America e partire dal niente".
Ecco dunque le successive menzogne di Andrew assurgere a specchio della bugia su cui si fonda un intero paese, quello stesso paese che ha spinto suo padre a mentire per farsi strada, portandolo alla catastrofe; prescindendo dalla pur tragica violenza subita e testimoniata nel nucleo familiare, è questa distorsione consapevole della verità che ha stravolto la psiche di Andrew. Senza facili pietismi, American Crime Story è riuscita così a mostrare come sulle mani dell'America ci sia non solo il sangue di Gianni Versace, ma anche quello del suo assassino, che condivide con molti carnefici il trauma primigenio di una giovinezza da vittima.
American Crime Story va in onda su FX dallo scorso 17 gennaio, e viene trasmessa in Italia in contemporanea su Fox Crime.