American Crime Story 2x05, "Coming Out": la recensione
Il quinto episodio di American Crime Story: l'assassinio di Gianni Versace traccia un toccante parallelo tra il coming out dello stilista e la parabola umana del militare Jeff Trail
Che l'omosessualità, vissuta nel segreto e nella vergogna, fosse uno dei temi portanti di questa seconda stagione della serie FX è stato ben chiaro fin dal primo episodio, in cui il serial killer Andrew Cunanan (Darren Criss) osservava la scritta "finocchio" in un lurido bagno pubblico e Antonio D'Amico (Ricky Martin) era costretto a rispondere alle pressanti e pregiudiziose domande del detective Scrimshaw (Will Chase), apparentemente incapace - o non disposto - a comprendere la natura profonda del rapporto che legava l'uomo al fidanzato Versace (Edgar Ramirez).
American Crime Story prosegue quindi la propria antologia nell'antologia, regalando al pubblico un commosso ritratto d'uomo che sovrasta, in questo frangente, la pur intensa parte dedicata allo stilista e al suo compagno di vita. Alla decisione di Versace di dichiarare la propria omosessualità - tra i primi nel mondo della moda, in un'intervista a The Advocate risalente al '95 - fa da contraltare la partecipazione di Trail a un segmento del programma 48 ore, dedicato alla presenza di omosessuali nell'esercito americano.
Confermando nel parallelo la propria cifra stilistica per questa stagione, American Crime Story mette a confronto due storie di sopravvissuti (Versace alla malattia, Trail alla tentazione del suicidio) che decidono di mettere a frutto la loro seconda chance, rifiutandosi di vivere nella paura. Il primo perché, come detto alla sorella Donatella (Penelope Cruz), un marchio non può essere più coraggioso del suo creatore; il secondo perché, a dispetto della circospezione a cui Cunanan stesso lo invita, è dominato da un senso di giustizia eroico e toccante, come riferito anche da coloro che realmente lo intervistarono ai tempi della trasmissione.
Strazia il cuore osservare Versace presentare il compagno D'Amico all'intervistatore di The Advocate, liberandosi del peso della reticenza e definendo il giusto ruolo dell'amato nella sua vita ("sono tredici anni che vengo scambiato per l'assistente di Gianni", dichiara il fidanzato nella prima scena della puntata); strazia perché sottolinea la posizione privilegiata di Versace rispetto alla sua controparte Trail, cui viene imposta una confessione nelle tenebre, in un clima di vergogna immotivata che ne fa risaltare ancora di più la fibra morale e il profondo valore umano.
Al di là delle licenze storiche, American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace sta seguendo una strada non convenzionale, che accosta la messinscena dichiarata della parte legata alla famiglia Versace - popolata di figure gigantesche e archetipiche - a quella più dimessa, ma non per questo meno tragica, concernente le vittime degli omicidi, correlando i due macro insiemi grazie all'allucinato fil rouge di Andrew Cunanan. Sfugge quindi alla tentazione di un verismo irrealizzabile, scegliendo la via del grande dramma psicologico e, come in questo caso, della non troppo celata tesi politico-sociale, senza gravarsi del peso di un manifesto esplicito ma portando avanti, con la tenacia che è propria delle minoranze oppresse, la rivendicazione di una dignità tuttora largamente negata.