American Crime Story 2x05, "Coming Out": la recensione

Il quinto episodio di American Crime Story: l'assassinio di Gianni Versace traccia un toccante parallelo tra il coming out dello stilista e la parabola umana del militare Jeff Trail

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Spoiler Alert
Nel periodo compreso tra il 1993 e il 2010, nelle forze militari statunitensi vigeva la politica del don't ask, don't tell, che prevedeva una cappa di omertà sulla presenza di membri omosessuali o bisessuali non dichiarati tra le fila dell'esercito, parallelamente a un'esclusione di gay e bisex dichiarati dai suddetti organi. Da qui il nome del quinto, struggente episodio di American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace, tradotto in italiano col più vago e inefficace Coming Out.

Che l'omosessualità, vissuta nel segreto e nella vergogna, fosse uno dei temi portanti di questa seconda stagione della serie FX è stato ben chiaro fin dal primo episodio, in cui il serial killer Andrew Cunanan (Darren Criss) osservava la scritta "finocchio" in un lurido bagno pubblico e Antonio D'Amico (Ricky Martin) era costretto a rispondere alle pressanti e pregiudiziose domande del detective Scrimshaw (Will Chase), apparentemente incapace - o non disposto - a comprendere la natura profonda del rapporto che legava l'uomo al fidanzato Versace (Edgar Ramirez).

Con Coming Out, lo show compie un ulteriore passo avanti nell'analisi di un ostracismo sociale che ha coinvolto e continua a coinvolgere milioni di persone, allontanandosi parzialmente dalla figura dell'assassino per soffermarsi sull'uscita allo scoperto di Versace e, con modalità ben più drammatiche, del giovane ufficiale di marina Jeff Trail (Finn Wittrock), veterano della guerra del Golfo e prima vittima della follia omicida di Cunanan.

American Crime Story prosegue quindi la propria antologia nell'antologia, regalando al pubblico un commosso ritratto d'uomo che sovrasta, in questo frangente, la pur intensa parte dedicata allo stilista e al suo compagno di vita. Alla decisione di Versace di dichiarare la propria omosessualità - tra i primi nel mondo della moda, in un'intervista a The Advocate risalente al '95 - fa da contraltare la partecipazione di Trail a un segmento del programma 48 ore, dedicato alla presenza di omosessuali nell'esercito americano.

C'è una potenza drammatica inedita nella sequenza che vede Trail intervistato in controluce, col volto oscurato come se fosse un criminale, parlare del rimpianto di aver salvato un giovane soldato gay dal pestaggio, venendo così additato come appartenente alla "sponda sbagliata": dalle sue parole di rammarico emerge il folle paradosso di un sistema che spinge un uomo onesto e generoso a pentirsi di un atto di estrema compassione e solidarietà, in un'ottica distorta e abominevole, nemica della più basilare umanità.

Confermando nel parallelo la propria cifra stilistica per questa stagione, American Crime Story mette a confronto due storie di sopravvissuti (Versace alla malattia, Trail alla tentazione del suicidio) che decidono di mettere a frutto la loro seconda chance, rifiutandosi di vivere nella paura. Il primo perché, come detto alla sorella Donatella (Penelope Cruz), un marchio non può essere più coraggioso del suo creatore; il secondo perché, a dispetto della circospezione a cui Cunanan stesso lo invita, è dominato da un senso di giustizia eroico e toccante, come riferito anche da coloro che realmente lo intervistarono ai tempi della trasmissione.

Strazia il cuore osservare Versace presentare il compagno D'Amico all'intervistatore di The Advocate, liberandosi del peso della reticenza e definendo il giusto ruolo dell'amato nella sua vita ("sono tredici anni che vengo scambiato per l'assistente di Gianni", dichiara il fidanzato nella prima scena della puntata); strazia perché sottolinea la posizione privilegiata di Versace rispetto alla sua controparte Trail, cui viene imposta una confessione nelle tenebre, in un clima di vergogna immotivata che ne fa risaltare ancora di più la fibra morale e il profondo valore umano.

Al di là delle licenze storiche, American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace sta seguendo una strada non convenzionale, che accosta la messinscena dichiarata della parte legata alla famiglia Versace - popolata di figure gigantesche e archetipiche - a quella più dimessa, ma non per questo meno tragica, concernente le vittime degli omicidi, correlando i due macro insiemi grazie all'allucinato fil rouge di Andrew Cunanan. Sfugge quindi alla tentazione di un verismo irrealizzabile, scegliendo la via del grande dramma psicologico e, come in questo caso, della non troppo celata tesi politico-sociale, senza gravarsi del peso di un manifesto esplicito ma portando avanti, con la tenacia che è propria delle minoranze oppresse, la rivendicazione di una dignità tuttora largamente negata.

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