American Crime Story 2x04, "La casa sul lago": la recensione
Il nuovo episodio di American Crime Story dipinge un vivido ritratto della seconda vittima di Cunanan, l'architetto David Madson, rievocando lo stigma dell'omosessualità
Abbandonato - almeno per ora - il lusso legato sia alla famiglia Versace che agli ambienti frequentati dal millantatore Cunanan, la serie FX costringe lo spettatore a un'angosciante esplorazione dei morbosi rapporti intessuti dal serial killer con le persone a lui più care. Lo fa tratteggiando un ritratto vivido e intenso, quello di Madson, il cui merito va certo alla brillante interpretazione di Fern ma, prima ancora, a una scrittura che fa delle misteriose circostanze della scomparsa del giovane il proprio punto di forza.
Già con il terzo episodio, attraverso la parabola di Lee Miglin, American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace aveva raccontato lo stigma dell'omosessualità negli anni '90. In La casa sul lago lo spettro della discriminazione e dell'onta aleggia con un peso diverso, non a rovinare una vita già ricca di soddisfazioni, ma a demolire una fioritura di carriera appena iniziata. I flashback di Madson con il padre offrono uno spaccato certo non consolatorio, ma piuttosto attendibile di quella che poteva essere - e certo sarà stata, in molti casi - la reazione di un genitore affettuoso al temuto coming out del figlio.
La difficoltosa accettazione da parte del padre è prodromo di una vita di reticenza per il giovane David; nessuna sorpresa che sia rimasto abbacinato dai fallaci fasti sfoggiati da Cunanan, abile ammaliatore e cantore di favole a cui questo ragazzo di provincia pieno di sogni e vergogna non vedeva l'ora di credere. Eppure, benché la bugia si sia ormai rivelata da tempo come tale, macchiandosi per giunta del sangue di un innocente, David resta ancorato ad Andrew; rinuncia all'unica occasione di salvezza che il destino gli offre durante il breve road trip con l'assassino, e nel far ciò sigla la propria condanna a morte. Perché Andrew non ha nessuno, è solo al mondo; e, forse sbagliando, anche David si sente terribilmente solo, in un universo ostile pronto a condannarlo in quanto fag, "finocchio".
Non sappiamo perché Madson abbia accettato di fuggire con Cunanan dopo aver - presumibilmente - assistito all'assassinio di Trail, ma la lettura offerta da American Crime Story è, se non la più attendibile, certo la più interessante e funzionale nel conferire all'episodio un respiro filmico che lo renda quasi un racconto a sé stante rispetto al corpus dell'intera stagione: una fuga dalla propria identità ritenuta scandalosa, accanto a qualcuno che elemosina sentimenti (più volte Andrew avrebbe parlato di David come dell'amore della sua vita) ma che è impossibile amare davvero, proprio perché privo di un'identità che prescinda dalle sue azioni omicide.
Menzogna e bugia si riconfermano i pilastri portanti di una stagione di solida coerenza tematica e di profonda, toccante sensibilità psicologica, e trovano il proprio culmine nella tesa ma commovente scena nel locale in cui Andrew e David fanno sosta durante la loro fuga: dinnanzi alla guest star Aimee Mann che canta la struggente Drive dei Cars, immersi nella finzione scenica, vittima e assassino vivono un attimo di irripetibile sintonia sentimentale, e congiungono le mani trattenendo a stento le lacrime. Melodrammatico? Forse, ma - nonostante ciò - intriso di disperata, pulsante verità.