American Assassin, la recensione
Pronto per diventare franchise, American Assassin è l'origin story di una spia. Personaggio giusto nel corpo sbagliato a sua volta nel film sbagliato
Una tranquilla spiaggia spagnola si trasforma in una carneficina nella scena iniziale di American Assassin, proprio pochi attimi dopo che Mitch Rapp ha chiesto alla sua ragazza di sposarlo. Sventagliate di mitra non ben motivate (ma in questi anni non è più necessario che un attacco terroristico sia motivato per essere credibile) spazzano via i bagnanti, feriscono Mitch e uccidono la sua (da poco) promessa sposa. Non lo sa ancora nessuno, nemmeno il diretto interessato, ma il pubblico ha già intuito che in questo momento è nato un action hero. Mitch infatti non si riprenderà più, giurerà vendetta al nemico, si allenerà da solo per sconfiggerlo, sarà notato dalla CIA per il suo comportamento violento e sospetto e infine prelevato per essere addestrato davvero.
Dunque a questo punto, finalmente, dopo poco meno di mezz’ora dall’inizio del film, entra in scena Micheal Keaton, il volto intorno al quale questo film ha senso. Non è infatti di certo Dylan O’Brien a poter portare avanti la parte la baracca. Il suo ragazzo normale che per il dolore della perdita diventa un supersoldato iperaddestrato, e così determinato da avere come ambizione quella di sgominare un’intera cellula terroristica, è fuori da ogni credibilità, non solo per come è costruito il personaggio, ma soprattutto per come è interpretato. Avremmo potuto credere che un Jason Statham con parrucca (prima) e cranio rasato (dopo) avrebbe potuto sviluppare il veleno e le abilità necessarie, perché Statham è un corpo e un attore affine al genere, esagerato e in grado di muoversi in un modo che legittima queste trame, anima da genere, mascella e occhi da vendetta. Dylan O’Brien no.
Tratto dai libri di Vince Flynn, American Assassin sarebbe la origin story dell’agente Rapp, dotato di almeno altre 16 avventure già edite su carta che attendono in fila l’esito al boxoffice (per nulla lusinghiero in patria a dire il vero) per diventare sceneggiature. Micheal Cuesta ne ha fatto una specie di Jason Bourne, cioè ha replicato quel modo di mettere in scena l’action spionistico fondato da Paul Greengrass, mentre parte del suo team di sceneggiatori ha flirtato con Jack Reacher. Non sorprende nessuno che, aggiunto un protagonista scialbo, il risultato accontenti poco gli appassionati del genere e scontenti gli spettatori occasionali.