Ambulance, la recensione
Michael Bay è sempre più sfiduciato, in Ambulance non c'è più da la grande macchina eccezionale americana e rimane il dispositivo di tensione
Questa volta più che mai, le immagini dicono qualcosa e i dialoghi un’altra. Michael Bay continua a riprendere le sue storie dal punto di vista più estetizzante possibile, usando tramonti e la grande enfasi del mito cinematografico per raccontare un’America splendente, ma sotto quella patina, quello che accade non ha più niente di splendente. Lo splendore che vedevamo nei suoi film iniziali, così pieni di orgoglio per il paese, così propagandistici nel raccontare come in ogni posizione ci fosse sempre la persona migliore possibile, messa nelle condizioni migliori possibili, non c’è più da un po’. Già nel secondo Transformers, Shia Le Beouf, eroe del film precedente, perdeva il lavoro e non ne trovava altri nonostante quel che aveva fatto; poi c’è stata l’America dei dementi di Pain And Gain; e poi ancora Thirteen Hours aveva segnato la punta massima di disillusione nei confronti dell’idea dell’eccezionalismo statunitense. Ora c'è Ambulance, un film simile a quelli che aveva girato negli anni '90 per impianto ma che poi inizia con un veterano di guerra afroamericano che non riesce a trovare i soldi per curare la moglie, e lei che afferma: “Perdo fiducia in questo paese ogni giorno di più”.
Dell’originale danese Ambulancen c’è davvero solo lo spunto, ridotto all’osso. Quello era un film asciuttissimo di 80 minuti a budget contenuto, questo è Michael Bay che mobilita una quantità di mezzi tale da bloccare Los Angeles per più di due ore tiratissime. Stavolta però non siamo né dalle parti del suo cinema più intimo (Thirteen Hours, Pain And Gain) né da quelle del delirio futurista digitale di Transformers o del puro sperimentalismo cinetico di 6 Underground, questo è un film con un passo un attimo più controllato, in cui con effetti quasi solo pratici e un senso dell’ironia da Bad Boys la macchina mortale di Bay cerca di distilla la tensione. La sua troupe, i suoi uomini e il gruppo con cui realizza film sono un team così affiatato e allenato da rendere possibile quello che altrove è impensabile e che nessun altro film, nemmeno quelli hongkonghesi degli anni ‘90, riesce a mostrare. Questo in sé è uno spettacolo dei muscoli del cinema.
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