Amazing Stories (prima stagione): la recensione

Amazing Stories, reboot dell'omonimo show degli anni '80, torna con cinque storie che non riescono a tener fede al titolo del progetto: recensione

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Amazing Stories (prima stagione): la recensione

Esiste tutto un filone di antologie delle fantascienza in tv, inedite o reboot, che però per qualche motivo fatica molto a funzionare. Forse dopo Black Mirror, anch'esso in fase calante, non si può tornare indietro, forse è complicato sorprendere oggi gli spettatori con storie di questo tipo. Difficile capire le cause, ma, tra i risultati, c'è il fatto che anche Amazing Stories ricade nella categoria. La serie di Apple TV+, reboot dell'omonimo show degli anni '80, torna con cinque storie che non riescono a tener fede al titolo del progetto.

Sono "storie fantastiche" che faticano a trovare un filo conduttore che non sia appunto il fatto di trasportare i personaggi nella sfera dell'impossibile. Puntate come The Cellar o The Rift si basano su uno spunto simile, quello dei viaggi nel tempo, mentre per un episodio come The Heat che riguarda più il sovrannaturale c'è Dynoman and the Volt che tocca il genere dei supereroi. Al centro di queste storie ci sono personaggi comuni, che entrano in contatto con l'impossibile e reagiscono in modo diverso, spesso venendo cambiati in modo irreversibile.

Ad unire il tutto c'è un immaginario fantastico di chiara ispirazione spielberghiana. Quello dell'impossibile che entra nell'ordinario e lo riveste di una patina magica, fanciullesca, che meraviglia e non spaventa mai. E che diventa veicolo per elevare le persone, ritratte con una carezza e con un certo buonismo di fondo. Lo stesso Steven Spielberg, che qui torna come produttore, era stato il creatore della serie del 1985, di cui aveva anche diretto vari episodi. E vale la pena ricordare che tra i registi della serie originale figuravano anche Clint Eastwood, Martin Scorsese, Joe Dante, Robert Zemeckis e altri. Tema della sigla creato da John Williams, che il reboot ripropone inalterato, e tante tematiche e contenuti che ricordano quella poetica.

Tuttavia, il reboot curato da Howard Kitsis e Adam Horowitz non riesce a dare una nuova marcia e uno stile più contemporaneo alle sue storie. E nel fare questo non riesce ad essere classico, ma solo datato. Sono storie che respingono ogni complessità, ma che al tempo stesso non riescono ad imprimere alla vicenda quell'umanità e quella forza che le riscatterebbe. A volte perché troppo frettolose negli sviluppi, a volte perché poco credibili nelle reazioni dei personaggi. Un piccolo sussulto di tenerezza potrebbe essere suscitato da una delle ultime apparizioni dello scomparso Robert Forster, ma è un po' poco.

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