Altrimenti ci arrabbiamo (2022), la recensione

La nostra recensione di Altrimenti ci arrabbiamo, omaggio al film del 1974 con Edoardo Pesce e Alessandro Roja al cinema dal 23 marzo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Altrimenti ci arrabbiamo, in uscita il 23 marzo

La prima domanda di fronte a questo Altrimenti ci arrabbiamo è: “cos’è?”. Non è un remake, perché i protagonisti sono i figli dei personaggi originali, ma non è nemmeno un sequel perché la trama dei primi due terzi del film segue pedissequamente quella dell’originale (inventando poi un ulteriore finale che apre le porte a un sequel). È un reboot della storia (con possibilità di continuazione) a partire da due interpreti nuovi e dalla stessa trama. Uno che all’inizio ha anche il riassunto del film originale fatto a disegni, come fossero tavole di fumetti.

Bud Spencer e Terence Hill sono fumetti cinematografici, questo dice il film (e lo ribadirà con fermi immagine e transizioni che trasformano il live action in disegno) e come tali possono diventare saga. Possono cioè diventare cinecomic, rinnovarsi negli interpreti ed essere riproposti come le proprietà intellettuali.

È il secondo problema del film, la maniera in cui opera questo rinnovamento e rilancio. Invece di fare come Marvel, DC o anche come James Bond, che nel periodico ripartire prendono l’essenza dei personaggi o delle situazioni, gli elementi vincenti, e ogni volta caratterizzano le storie in modi molto moderni, con dialoghi moderni, personaggi con problemi moderni e anche cambiamenti grossi per strappare personaggi degli anni ‘30 o ‘60 e trasferirli nel cinema della loro epoca, Altrimenti ci arrabbiamo lavora per replicare l’ingenuità che funzionava (e continua a funzionare oggi) in quei film. Tuttavia ciò che accettiamo in un film degli anni ‘70 o ‘80 non è accettabile in uno moderno, se non viene adattato. Ogni stile ha la sua epoca e non si torna indietro, semmai si può rielaborare, perché le sberle e i pugni, il favolismo e la mancanza di coordinate, il fare fuori dal tempo e la recitazione da cartone animato suonano più ridicole che in tono. Lontane dai modelli, vicini alle imitazioni, quando invece dovrebbero essere reintepretazioni.

Ma come detto questo è il problema numero due di un film che prima ancora del rapporto con una proprietà intellettuale molto molto ingombrante, scricchiola da tutte le parti, ha un ritmo inaccettabile per un film d’escapismo (allungato in ogni singola scena) e compie una serie di scelte terribilmente penalizzanti. Lo è quella, ad esempio, di cambiare effetti sonori per le botte (che è uno dei pochi cambiamenti e per giunta è in peggio). Le risse sono ugualmente cartoonesche ma l’audio è un po’ più realistico, le botte sembrano quindi fare più male, il che non ha senso. Ma lo è anche quella di cambiare il personaggio che dovrebbe essere simulacro di Terence Hill (Sorriso, interpretato da Alessandro Roja) che invece di essere svelto e guitto, è guitto e scemo. Questo serve a dare un senso alla zingara di Alessandra Mastronardi (che invece sveglia lo è molto e forse è la parte migliore del film) ma sbilancia completamente la coppia che forma con Edoardo Pesce (che cerca di tenersi a metà tra imitazione di Bud Spencer e autonomia del suo personaggio).

E se della sceneggiatura non ha senso parlare, perché la proprietà intellettuale è caratterizzata da sceneggiature alla buona, che infilano sketch, gag, battute e situazioni con il fine più di creare un mood e un’atmosfera che un arco narrativo, lo stesso non si può dire della fastidiosissima voce narrante che ripete il superfluo (cosa che fa immaginare un target dall’età molto bassa) e una gran voglia di inseguire un’idea precisa di stile prima che di film, con i fermo immagine già citati, i ralenti, i droni e la musica, che non hanno un vero senso o un’economia nel film ma sono lì a dare coolness. E il problema è che non la danno per niente, sono tentativi velleitari di imitare soluzioni viste in altri film e che lì invece funzionano.

In tutto questo ovviamente non aiuta il fatto che un attore come Christian De Sica, in un ruolo importante, porti la propria personalità, che metta cioè se stesso al di sopra della proprietà intellettuale, giocando di fatto da solo e non per la squadra, anche nei segmenti in cui funziona e qualche idea la esprime.

È impossibile insomma dire se un reboot di Altrimenti ci arrabbiamo potesse averlo, un senso, o se quel film non sia eccessivamente legato a corpi, personalità attoriali e presenze degli interpreti intorno ai quali era stato realizzato. Di certo questo tentativo è così scombinato da non qualificarsi proprio per il tentativo.

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