La recensione di Aloners, su Mubi dall’11 luglio
Esordio alla regia della regista e sceneggiatrice sudcoreana
Hong Seong-eun,
Aloners mette in luce attraverso la storia di una ragazza schiva e solitaria la condizione contemporanea di autoisolamento - fisico ed emotivo - che spinge sempre più persone a rinunciare quasi del tutto al contatto umano (una tendenza che nella sua versione più estrema si trasforma in
hikikomori, ovvero la sparizione totale, ma non è questo il caso). Di questo fenomeno
Aloners non indaga i motivi o le condizioni scatenanti, eppure limitandosi a ritrarre a tratti sottolissimi una storia di possibile riscatto e di risveglio emotivo riesce con un buonissimo livello di intensità ad accendere la curiosità verso ciò che racconta.
Si tratta quasi totalmente della messa in scena a ripetizione di una routine, quella di Jina (Gong Seung-yeon), operatrice di un call center che abita in un grosso complesso condominiale di Seul. Jina ogni giorno compie gli stessi gesti, mangia le stesse cose, compie lo stesso itinerario. A turbare questo suo apparente equilibrio intervengono diversi personaggi: il padre, che Jina spia da una telecamera in soggiorno e con il quale prova un forte risentimento dopo la morte della madre; il vicino di casa, una strana presenza che trova sempre a fumare fuori dalla porta; e infine Sujin (Jeong Da-eun), la giovane e impacciata nuova collega che Jina è costretta a formare e con cui viene obbligata a condividere i suoi spazi.
L’aspetto più particolare e interessante di
Aloners è che si crea uno stranissimo equilibrio tra il metafisico delle diverse suggestioni presenti nella trama (molto più abbozzate che spiegate, ma è anche questo il loro bello) e il pragmatismo registico di
Hong Seong-eun, che con una mano fermissima prosegue decisa nel ritrarre Jina come una statua, immobile, delegando al solo percorso di trasformazione attoriale la responsabilità di segnare in modo più evidente i picchi di intensità del film.
Gong Seung-yeon è in questo senso sorprendente, e quasi ipnotizza per la sua gestualità dura (che rivela un grande dolore represso), il suo sguardo fiero e fragile e i suoi momenti di esitazione a stupore, unici momenti di micorscopica apertura ma di una forza narrativa sconcertante.
Aloners è quindi un film che si apprezza per i suoi piccoli dettagli, non un racconto esaustivo o particolarmente attraente per le emozioni che porta ma sicuramente pieno di ottimi spunti, momenti interessanti, e soprattutto capace alla fine di raccontare con coerenza e una semplicità nobilissima il cambiamento di un personaggio.
Siete d’accordo con la nostra recensione di Aloners? Scrivetelo nei commenti!
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