Alone in the Dark, la recensione
Alone in the Dark non è un titolo perfetto, ma è un gioco che tutti gli amanti dei survival horror dovrebbero recuperare
Saghe storiche come Resident Evil e Silent Hill non sarebbero mai esistite se Frédérick Raynal non avesse deciso di dare vita ad Alone in the Dark, in quel lontano 1992. L’opera sviluppata dall’autore francese e pubblicata da Infogrames, infatti, è senza dubbio uno dei primi esempi di survival horror in terza persona. Stiamo parlando di un titolo in grado non solo di dettare ritmi e struttura di un intero genere, ma forte anche di un comparto tecnico all’avanguardia. Vi basti pensare che il mix tra personaggi poligonali e fondali pre-renderizzati è stato ripreso pochi anni dopo proprio dal succitato Resident Evil, che ha preso ispirazione da Alone in the Dark anche per l’uso della telecamera fissa.
Arriviamo quindi al 2024. Pieces Interactive e THQ Nordic tentano il colpo grosso: rimettere mano a quel Alone in the Dark datato 1992 per dare nuova linfa al franchise. Una scelta presa con la consapevolezza di dover rivisitare il sistema di movimento, la telecamera e il ritmo di gioco per adattarsi al lessico attuale. Ci saranno riusciti? Se volete scoprirlo impugnate la vostra torcia, assicuratevi di avere il vostro fidato revolver nella fondina ed entrate insieme a noi a villa Derceto.
IL FASCINO ORIGINALE
La trama prende il via nel 1930, in Louisiana. Emily Hartwood ha ricevuto una lettera da suo zio Jeremy, che vaneggia su misteriosi avvenimenti che stanno accadendo a Villa Derceto, la casa di cura nella quale è “rinchiuso”. Per scoprire cosa stia realmente succedendo, Emily assume l’investigatore privato Edward Carnby e insieme si recano alla magione. Bastano pochi secondi per capire che è in atto qualcosa di davvero strano. Jeremy risulta scomparso, gli infermieri non sembrano intenzionati ad aiutare nelle indagini e inquietanti visioni scivolano nell’ombra. Che fine ha fatto lo zio di Emily? E chi è quel misterioso “uomo nero” che sembra assediare la mente di Jeremy?
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La sceneggiatura pesca a piene mani dall’immaginario lovecraftiano, dando vita a colpi di scena inaspettati e momenti onirici assolutamente riusciti. Merito anche del carisma dei due protagonisti, interpretai da attori del calibro di David Harbour e Jodie Comer. Alone in the Dark recupera quindi il suo fascino originale, tornando a spaventare, affascinare e convincere. Un ritorno alle origini che ci auspicavamo, ma che non davamo per scontato.
QUESTIONE DI ESPERIENZA
Questa nuova iterazione della saga prende come ispirazione quel Resident Evil 4 che ha fatto la storia dei survival horror. Una scelta sensata, ma che mostra il fianco a una problematica: Pieces Interactive non è Capcom e questo si vede. Ma partiamo dalle basi. Alone in the Dark è un survival horror in terza persona che fa dell’esplorazione e degli enigmi il suo punto di forza. Enigmi nettamente più interessanti persino del succitato Resident Evil e che ci hanno fatto scervellare in più occasioni. Talvolta si tratta di puzzle ambientali, che costringono il giocatore a muoversi tra le stanze di villa Derceto per trovare le risposte. Altre volte sono veri e propri minigiochi da risolvere. Il risultato finale è un titolo dal ritmo più lento rispetto a molti altri survival horror, ma che abbiamo apprezzato proprio per questo motivo.
Anche perché, ammettiamolo, quando la situazione si fa più frenetica cominciano i veri problemi.
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Non lo nascondiamo: i combattimenti contro le creature delle tenebre sono legnosi quando si usano le armi da fuoco e sgradevoli quando si punta al corpo a copro. Siamo di fronte, senza dubbio, al principale problema di Alone in the Dark. Un problema senza il quale, probabilmente, avremmo tra le mani un titolo completamente diverso. Come già accennato, Pieces Interactive non è Capcom, ma ci saremmo aspettati un risultato comunque più riuscito rispetto a quanto provato con mano. Ci teniamo però a mettere in chiaro una cosa: gli scontri non danneggiano irrimediabilmente la produzione. Sono sì onnipresenti durante l’avventura, ma il titolo ha evidentemente un altro obiettivo: quello di far ragionare il giocatore e immergerlo in una storia dal grande fascino. I combattimenti potevano essere fatti meglio? Senza dubbio. Dovreste evitare Alone in the Dark per questo motivo? Assolutamente no.
IL FASCINO DEL MALE
Da un punto di vista tecnico, Alone in the Dark non fa certo gridare al miracolo, ma riesce comunque a regalare degli scorci estremamente appaganti. Se i modelli dei personaggi presentano delle animazioni talvolta legnose, gli ambienti ci hanno spesso lasciato a bocca aperta per la cura maniacale riposta nella scenografia. Merito anche di uno stile artistico dannatamente affascinante che avvolge ogni singolo scenario del gioco.
Ineccepibile, invece, il comparto sonoro. La soundtrack jazz di Jason Kohnen evidenzia l’atmosfera gotica della storia e il doppiaggio dei protagonisti è affidato ai già citati Harbour e Comer, che spiccano su tutto il resto del cast. Segnaliamo, infine, che sono presenti i sottotitoli in italiano per l’intera avventura, permettendo così anche ai non anglofoni di godere di una trama tanto inquietante quanto coinvolgente.
ALONE IN THE DARK, IL COMMENTO FINALE
Alone in the Dark non è un titolo perfetto. Alcune carenze tecniche e, soprattutto, una mediocre gestione degli scontri non permettono al remake di Pieces Interactive di diventare un’opera imperdibile. Nonostante questo, Alone in the Dark rimane un gioco dalle atmosfere incredibili, dalla sceneggiatura solida, dagli enigmi appaganti e dal ritmo lontano dalla frenesia di alcune produzioni moderne. Se amate i survival horror e volete bearvi di un’avventura morbosamente ammaliante, allora questo è esattamente il titolo che state cercando. Speriamo che gli sviluppatori prendano le critiche come un incentivo per dare vita a un “Alone in the Dark 2” più riuscito, piuttosto che gettare la spugna e passare ad altri progetti. Le basi per il ritorno di questa celeberrima saga horror sono state poste. Ora bisogna solo cominciare a costruire.