Allied, la recensione
Thriller al contrario, in cui è l'uomo innamorato ad avere dubbi sulla moglie, Allied è un trionfo di unione tra star e paesaggi artefatti
Dietro l’incredibile fascino pop della confezione di Zemeckis si cela un film molto meno convenzionale del solito (ma anche Flight lo era, così strano nella sua struttura), in cui l’azione è tutta compressa all’inizio, in un pugno di scene di addestramento e poi combattimento. Come un piccolo film nel film, il periodo dei due protagonisti a Casablanca, tra pianificazione, finzione, conoscenza, innamoramento, sesso prima di morire e poi l’incredibile momento in cui portare a termine una missione che pareva un suicidio, è un gioiello per brevità ed essenzialità che elimina l'azione dall'equazione del resto della storia. Perché il film in realtà è poi un altro, quello che si svolge a casa, nel fronte interno, come se La Signora Miniver non fosse chi dice di essere.
È un modo di lavorare su quelle componenti che solitamente passano indolori, come il vero sentimento che brucia tra due persone (quello che fa dubitare lui), che dà a questo film dalla trama molto canonica che 70 anni fa sarebbe potuta esistere solo in un B movie, un afflato diverso. Tra i due è Brad Pitt ad avere il centro della scena ma è Marion Cotillard a creare di fatto il film. Senza la sua sottile doppiezza, la sua capacità di suggerire una cosa nell'affermarne un'altra, non ci sarebbe possibile dubbio.
Vedere marciare la coppia di amanti per finta (che intanto lo sono diventati davvero) in abito da sera, con le armi in mano e dietro di loro un palazzo che hanno devastato di spari per far fuori un gerarca nazista, con lo sguardo preoccupato di non morire proprio a pochi minuti dalla fuga è una meraviglia, è un’immagine di determinazione e innamoramento serio che non si scorda, perché c’è un piccolo mondo a dargli valore.