Alla ricerca di Nemo 3D, la recensione

Splendido come 8 anni fa, l'oceano di Nemo è ancora più blu (perchè proiettato in digitale) e più profondo (perchè in 3D). Tutto il resto del film invece è straordinario come sempre. Imperdibile...

Critico e giornalista cinematografico


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In realtà si tratta solo di un'occasione per parlare di nuovo e per un po' di Alla ricerca di Nemo, che è quasi un dovere. Questa settimana esce di nuovo al cinema in 3D, il che significa più che altro in digitale ad alta risoluzione (colori, risoluzione, dettaglio e precisione) e con un senso degli spazi enfatizzato. Spazi che in questo fantastico road movie oceanico sono tutto.

Distanze, immensità, profondità, lontananze e anche piccole alcove domestiche fanno la struttura stessa dell'impresa di salvataggio più clamorosa di sempre, tale proprio perchè mette a contatto grandezze e distanze imparagonabili. L'immensamente piccolo (e immensamente disperato) pesce pagliaccio che compie l'assurdo e impossibile proposito di attraversare l'immensamente grande oceano.

Senza stare a prendersi in giro sappiamo bene che l'aggiunta della terza dimensione è una trovata simile alla rimasterizzazione, cioè un espediente per far tornare a fruttare un film già fatto e finito. Tuttavia, proprio come la rimasterizzazione, è anche un'operazione di raffinazione che, nello specifico, riesce a dare grandissimo spessore ad un film che sembrava aspettare solo il 3D.

Non è stato così per i primi due Toy Story, anch'essi portati in 3D ma senza nessun guadagno o modifica sostanziale. Nemo invece ricorda la stereoscopia funzionale di Prometheus, perchè crea un vero e proprio ambiente, vasto e misterioso nella sua inconcepibile e disarmante grandezza, trovando nell'asse Z della profondità un'arma in più per rendere l'abbandono e la solitudine del pesce Marlin, che come un hobbit anela la quiete domestica e invece si trova sperduto in mezzo ad un'immensità che non sa nemmeno come affrontare ma dalla quale non intende lasciarsi scoraggiare.

Ha aiutato moltissimo sicuramente il plancton in primo piano dettaglio da sempre presente nel film (sconosciuto a tutto il resto del cinema animato subacqueo, La sirenetta in primis), usato con funzione espressiva e romantica. Un elemento addensante che rende l'acqua materia tangibile e non solo invisibile filtro, e che ora con il 3D aiuta a rendere la profondità assieme alle diverse rocce, pesci e via dicendo.

Rimangono un po' antiquate alcune scene ambientate in superficie (su tutte il motoscafo che corre) ma sono dettagli ridicoli in confronto all'esperienza di ripercorrere il viaggio mitologico di Marlin, diventato leggenda per quella porzione di oceano mentre ancora era in atto, e l'indomita sete di libertà di Gill, sfregiato carcerato d'acquario che mille tentativi di fuga falliti non hanno scoraggiato e con un nuovo piano d'evasione sempre in testa. Il suo sguardo soddisfatto, finalmente felice e baciato dal sole, tutto rivolto verso l'orizzonte fuoricampo dall'interno del sacchetto di plastica galleggiante nel finale del film vale ancora il prezzo del biglietto, come lo valgono ancora l'abbraccio nella folla tra Nemo e il padre (geniale per come ricorda quello di Viaggio in Italia di Roberto Rossellini) e la clamorosa e disarmante solitudine confessata da Dori nel sottofinale, in un'impennata di serietà e ambizione di un minuto e 30 secondi che continua ad impressionare.

Semplicemente il più grande salvataggio di sempre.

Un dettaglio non riportato da alcuna scheda in rete. Il film, originariamente diretto (oltre che concepito e scritto) da Andrew Stanton, con l'aiuto di Lee Unkrich, ora nella versione 3D, stando ai titoli di coda, risulta diretto unicamente da Lee Unkrich.

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