All We Imagine As Light, la recensione | Cannes 77
Tre donne cercano un posto per sè in una grande città, da questo All We Imagine As Light costruisce uno scavo nell'umanità
La recensione di All We Imagine As Light, il film di Payal Kapadia presentato in concorso al festival di Cannes
Questa è proprio una storia di donne in città, ripresa con focale lunga, in un groviglio di comparse, alle prese con la quotidianità di una grande metropoli indiana. Per certi versi potrebbe ricordare (almeno nelle sue prime parti) La grande città di Satyajit Ray (anche quello uno studio su una donna). È la storia di personaggi che non hanno uno spazio per sé, condividono appartamenti o vengono cacciati, che lavorano e si danno da fare per gli altri ma sembrano non riuscire a farlo per se stessi. È un’impostazione molto schematica quella su cui si basa il racconto, cosa che affossa le aspirazioni del film e lo costringe a fare gli straordinari lavorando sui dettagli per creare un po’ di complessità. Kapadia ha così in amore i suoi personaggi da riconoscergli tutto e non negargli nulla, sono donne immacolate con pensieri puri a cui il mondo volta le spalle. Troveranno consolazione in se stesse e in una fuga dalla città verso il mare dove tutto all’improvviso ha un senso.