Alienation, la recensione

Housemarque torna al twin stick shooter, passando dagli zombie agli alieni: la recensione di Alienation

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Da qualche anno a questa parte stiamo assistendo a uno spostamento demografico del videogiocatore medio. Il ragazzino cresciuto con le console degli anni ‘80 si avvicina ai fatidici trent’anni, se non addirittura ai quaranta e, come spesso succede quando si invecchia, inizia a idealizzare i bei tempi andati.
Forse nel 1992 ci divertivamo con quattro pixel e due tasti, forse nel 1996 il passaggio al 3D ci colse di sorpresa, forse addirittura il primo filmato di Final Fantasy X riuscì ancora a stupirci. Oggi però abbiamo un cuoricino indurito e le mascelle a terra si stanno trasformando in sbadigli neppure troppo poderosi.

Nel mentre scatta un meccanismo strano: nella ricerca disperata delle sensazioni di vent’anni fa, il nostro giocatore medio inizia a coltivare una retromania pericolosa, non il classico retrogaming quanto l’ossessione per ritrovare esperienze classiche in giochi che, almeno in teoria dovrebbero essere nuovi. Alienation rientra appieno in questa stramba categoria. Housemarque, che già con Dead Nation recuperò l’esperienza dei twin stick shooter spalmandoci sopra una patina zombie, ha deciso di farla semplice: prendere il gioco precedente e moddarlo, stavolta proponendoci una generica ambientazione fantascientifica.

[caption id="attachment_155013" align="aligncenter" width="600"]Alienation screenshot Alienation - screenshot[/caption]

Intendiamoci, Alienation non è un gioco sgradevole, le sei/sette ore necessarie per completare la - risibile - vicenda principale passano senza scossoni e l’esperienza multigiocatore, inspiegabilmente confinata all’online senza alcuna opzione per il locale, regala più di un sorriso. Tuttavia l’ultima produzione del team finlandese non convince appieno,non a causa delle sue qualità ludiche, ma perché si presenta come un mero calco dei grandi classici arcade di due decenni fa. Alienation non è un’interpretazione (post)moderna di un genere antico (come Stardew Valley o, per altri versi, Hyper Light Drifter) ma si accontenta di riproporne gli stilemi, puntando tutto sulla nostalgia deii pomeriggi passati con Assault (sì, era un gioco terribile ma chi scrive ci ha consumato più di un pad in co-op) sulla prima Playstation.

"Alienation poteva essere pressoché identico nel 1986, nel 1996 e nel 2006"

Nel complesso è molto difficile dir male di Alienation: il gioco fa il suo dovere? Sì, lo fa, senza troppi complimenti. Ha difetti particolari? No, dopotutto stiamo parlando di un genere talmente codificato da rendere pressoché impossibili deviazioni negative, tantomeno da un team esperto come Housemarque. Si tratta di un’esperienza contemporanea? Per nulla. Alienation poteva essere pressoché identico nel 1986, nel 1996 e nel 2006, al netto della componente tecnica ogni suo meccanismo ludico è già stato sviscerato, visto, intepretato e digerito da almeno due generazioni di giocatori che, guardacaso, sono pure le stesse che acquisteranno il titolo.

[caption id="attachment_155014" align="aligncenter" width="600"]Alienation screenshot Alienation - screenshot[/caption]

In questa situazione riflettere sulle qualità intrinseche del gioco è una perdita di tempo, Alienation è stato costruito con il bilancino, è un gioco medio, né bello né brutto, privo di una sua personalità definita. Starà al giocatore riempirlo, eventualmente, di contenuti; il nostalgico amante del genere se lo godrà altri lo ignoreranno e, sospettiamo, saranno la maggioranza.

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