Alice e Peter, la recensione

Non solo Alice e Peter appartiene all'odiosa categoria dei film sui bambini magici, ma ha anche l'arroganza di essere noioso

Critico e giornalista cinematografico


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Esiste un genere precisissimo a cui Alice e Peter appartiene, è quello dei film in cui uno o più bambini si rifugiano in un mondo di sogni, reso tramite computer grafica spinta ed esagerata, per non dover affrontare dei drammi nel mondo reale. Film come Sette minuti dopo la mezzanotte di Bayona, per fare un esempio. Qui il tutto è declinato con molta più leggerezza ma tramite la medesima insulsa idea generica dell’immaginazione infantile, tramite un abuso dell’idea di bambino magico (cioè il fatto che ai personaggi bambini siano concesse cose che agli adulti sono precluse in virtù della loro età) e soprattutto tramite un concetto così aggressivo di tenerezza e piccoli sentimenti buoni che è doloroso da guardare.

La trama si dà senza remore all’assurdo spinto. Alice e Peter, i due bambini protagonisti figli di una famiglia di razza mista (padre afroamericano e madre Angelina Jolie) sono praticamente i futuri Alice nel paese delle meraviglie e Peter Pan. Vivono una vita difficile per ragioni varie che spaziano dai debiti di gioco del padre al maschilismo e classismo degli anni che vivono, che li spinge sempre di più verso il mondo cui apparterranno. Quanto peggio noi lo capiamo tramite visioni, aggiunte magiche e idee che paiono realtà aumentata ma sono solo la rappresentazione più scontata dell’immaginazione innocente.

Come se non bastasse Brenda Chapman non attenua ma cavalca l’impressione che il suo film si metta sempre dalla parte dei giusti, e che ritenga di essere molto provocatorio con il suo Peter Pan e la sua Alice di razza mista o il suo femminismo militante. Tutto sembra esistere in modo che ogni due minuti il film possa dire al suo pubblico: “Perché? Forse non vi va bene??”. Le cause migliori e più valevoli esposte nelle maniere peggiori e con i fini peggiori, non per sostenerle davvero ma per definire se stessi, usate per posizionare il film e i suoi autori dalla parte giusta. Non c’è una vera idea di conflitto razziale come non c’è una vera idea di autonomia femminile in questo film, non ci sono veri problemi o reali contrasti, c’è solo una vaga intenzione di promuovere la tolleranza in un mondo manicheo (dove è più facile identificarla e non ci sono possibili dubbi), perché è giusto così.

Con grande coerenza il film poi vanta in una messa in scena in costume tra le più false ed artificiose che si ricordino, una che attribuisce ad un’epoca passata, questioni, problemi e istanze che in realtà appartengono alla modernità, ma che anche arreda una casa come se fosse la capanna nel bosco dei sette nani. Alla fine Alice e Peter riesce ad essere solo un Terry Gilliam alle elementari, un film che ha l’intenzione di intrattenere un rapporto strano e quasi morboso con la fantasia e le favole marce ma è molto più interessato ai bei costumi, alla presentabilità e a tutto quello che di convenzionale il cinema fa (dai momenti intensi per l’attrice famosa, agli sguardi biechi dei cattivi di turno). Voler essere originali con tutta la banalità possibile.
Una noia figlia del più totale disinteresse per le paturnie di insopportabili personaggi arriva ben presto e senza pietà, per non andarsene più.

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