Alice, Darling, la recensione
Il tema è certamente chiaro, eppure pur basandosi su una buona struttura iniziale il film non fa altro che indugiare sul disagio del personaggio e darci la stessa informazione all'infinito: Alice sta male.
La recensione di Alice, Darling, al cinema dal 4 maggio
Sostanzialmente, Alice, Darling è un film a tema che punta ad avvicinarci il più possibile all’emotività e alla quotidianità di una persona vittima di abusi. Il modo in cui il film ci fa arrivare progressivamente alla comprensione del conflitto del personaggio non è neanche male: prima vediamo Alice in casa col compagno, poi piano piano sentiamo il suo bisogno di evadere, capiamo che c’è qualcosa che non va, finché questa non va a passare una settimana di svago con le sue migliori amiche dove il senso di colpa indottole dal fidanzato prende realmente il sopravvento.
L’impressione è quella di trovarsi davanti ad un film incompleto, convinto che la costruzione di un “mood” e di una generica atmosfera disagiante possa parlare da sé, raccontare qualcosa. Mary Night dimostra qui di non avere inventiva visiva: o, infatti, si limita a filmare questo blandissimo intreccio tempestandolo di inquadrature di paesaggi e dettagli esterni alla casa (il classico animaletto selvatico che passa in giardino, un must del genere malinconico), oppure l’unica altra soluzione che trova per dare un contributo visivo è quello di riproporci all’infinito il viso del fidanzato di Alice per farci capire quanto la ossessioni. Beh, questo l’avevamo capito.
Anna Kendrick ce la mette veramente tutta e anzi ci dice molto di più la sua espressività ridotta di tutto quello (quel poco) che il film le costruisce intorno. E l’incompletezza del film si rivela, da regola, nel suo finale.
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