Alcatraz 1x06, "Paxton Petty": il commento

Migliorano il ritmo narrativo e la caratterizzazione dei protagonisti, in una delle migliori puntate della stagione...

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Viaggi nel tempo, portali misteriosi, esperimenti segreti e complotti governativi: non è (solo) attraverso di questi elementi che si cattura e si conquista l'affetto degli spettatori. Sul piatto della bilancia va messo qualcosa in più, quella componente umana che troppo spesso si è trascurato in favore di una confezione invitante nella quale però i protagonisti risultavano delle fredde statuine senz'anima. Dopo un inizio di stagione non molto esaltante da questo punto di vista, nelle ultime due puntate Alcatraz ha deciso di legare a doppio filo la componente investigativa con le motivazioni individuali della squadra riuscendo, soprattutto nel caso di questa settimana, a gettare una nuova luce sui rapporti interpersonali, restituendo dei caratteri nettamente più interessanti e coinvolgenti.

Hauser continua a saperne molto di più di quanto mostrato a Rebecca e Soto, ma una volta abbassate le difese, mostrate le sue debolezze e il suo passato di ragazzo innamorato e un pò impacciato, il suo personaggio ne guadagna parecchio. Ad aiutare anche il fatto che, dopo aver sistematicamente interpretato il ruolo del deus ex machina, per la prima volta sia lui il soggetto in difficoltà verso cui gli altri vengono in soccorso. Per la prima volta non c'è un rapporto di dipendenza dei due verso Hauser, ma un gruppo di tre collaboratori quasi sullo stesso livello. Il fantasma del passato, che scatenerà in Hauser vari ricordi sul suo primo incontro con la Dottoressa Sengupta, alias Lucy Banerjee, la psicologa ancora in coma dopo essere stata colpita nella seconda puntata, si chiama Paxton Petty, bombarolo folle tornato a commettere gli stessi attentati che lo resero famigerato negli anni '60. Una sinistra ninnananna metterà la squadra sulle sue tracce, fino all'inevitabile cattura finale. Se lo schema della puntata non si discosta troppo dalla solita impostazione, è il flashback ad essere parzialmente diverso da quanto visto finora, rivelandosi, più che come la solita ricerca delle motivazioni di base del killer, come una finestra per mostrare l'esplicito dibattito tenuto nella prigione circa i metodi da adoperare con i carcerati. Il dottor Beauregard si fa portavoce di metodi nettamente più drastici, mentre la psicologa vorrebbe farsi strada con metodi più sottili (in una delle scorse puntate parlava di rimuovere i traumi e i ricodi dai carcerati per favorire il reinserimento).

Non è ancora chiaro a chi tra i due la storia (inventata) abbia dato ragione e in che parte, ma ciò che è sicuro è che Tommy Madsen, o meglio il suo sangue, sono un elemento fondamentale del problema e che Beauregard ne fece un largo utilizzo. Altrettanto evidente, e ribadito più volte, è il coinvolgimento attivo di una qualche organizzazione o gruppo alle spalle dell'improvvisa riapparizione dei carcerati, come traspare dalle dotazioni in loro possesso, o dal dover commettere alcuni atti per conto di non si sa bene chi. Ciò che emerge è una sorta di condizionamento (non troppo diverso da quello immaginato dalla dottoressa Sengupta) che porta i carcerati a commettere determinate azioni, lo stesso ferimento della dottoressa Sengupta non è stato casuale, probabilmente una motivazione che forse spiegherà anche perché ogni prigioniero una volta ricomparso torni inevitabilmente a delinquere e nello stesso identico modo di cinquanta anni prima.

Giro di boa per questa prima stagione di Alcatraz, una serie che certamente finora non ha voluto fare dell'originalità il suo punto di forza, ma che tutto sommato sta soddisfacendo le discrete aspettative della vigilia. Promossa nettamente sul versante flashback, oltrechè sulla gestione dei misteri (finora quasi tutte le puntate hanno aggiunto qualche interessante pezzo al mosaico), la stagione mostra il fianco soprattutto in fase di scrittura, tra varie situazioni fin troppo prevedibili (una morte all'interno di quest'ultima puntata è ad esempio facilmente intuibile) e dialoghi non sempre all'altezza con alcune interpretazioni non esaltanti (ancora una volta maglia nera a Sarah Jones). Insomma, da un lato si apprezza l'onesto intrattenimento, ma dall'altro la serie ha ancora ampi margini di miglioramento...

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