Alcatraz 1x03 "Kit Nelson": il commento

Alcatraz propone una buona terza puntata, senza praticamente alcuno sviluppo della trama orizzontale, ma offrendo come al solito un buon intrattenimento...

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La Alcatraz degli anni '60 è glaciale, freddissima, cupa e senza speranza. Un luogo tanto colmo di disperazione quanto irreale, al punto che persino un inumano assassino di bambini di nome Kit Nelson può sperare di far empatizzare il pubblico con le continue vessazioni cui è sottoposto in carcere. Il registro però cambia decisamente quando si ritorna ai giorni nostri, in cui l'ex carcerato è di nuovo a piede libero e pronto a spezzare giovani anime, come quella di un undicenne di nome Dylan che diventa vittima di un rapimento.

Il terzo episodio di Alcatraz non offre niente di nuovo, se non l'ulteriore conferma, casomai ce ne fosse bisogno, che l'impianto narrativo di base presentato nel pilot e rivisto nella seconda puntata verrà quasi sicuramente riproposto in ognuna delle 13 puntate che compongono questa prima stagione. Che questo sia un bene o un male possono deciderlo solo la sensibilità e le aspettative dello spettatore; da parte sua lo show si è presentato fin da subito molto onestamente da questo punto di vista, e difficilmente si poteva attendere qualcosa di diverso.

Ecco dunque Rebecca e Soto alla serrata ricerca del killer, in una caccia all'uomo che durerà circa due giorni nel tentativo di impedire che il bambino venga ucciso, attraverso indizi, false piste, echi dal passato e una torta di ciliegie. A spiccare di più durante la puntata, anche per motivazioni personali che verranno svelate verso la fine, è proprio il personaggio di Soto, mentre appare decisamente più sacrificata Rebecca, sia nello sviluppo delle indagini, sia nella risoluzione della vicenda. Probabilmente c'è ancora da lavorare sullo sviluppo dei rapporti, un pò ingessati, tra i personaggi, se non con riguardo all'eminenza grigia Hauser, sul quale per ovvi motivi ancora sappiamo poco, almeno tra i due partner.

Incredibilmente il flashback di Nelson nella prigione presenta gli aspetti più e meno riusciti della puntata. Le atmosfere che fanno da contorno ai prigionieri sono davvero d'effetto (quasi non stupisce che qualcosa di surreale sia avvenuto ad un certo punto) e una conversazione carica di tensione tra il direttore della prigione (Jonathan Coyne) il carcerato a lume di fiammiferi è forse la migliore vista in queste tre puntate. Più problematica si rivela forse la lettura di queste fughe nel passato che dovrebbero fornire una sorta di giustificazione e una nuova chiave di lettura a quanto accade nel presente e che qui fallisce proprio in forza della mancanza di umanità e di reali motivazioni di Nelson, che alla fine si rivela proprio un killer senz'anima e senza morale.

Il colpo di scena con cui si chiude l'episodio non sarebbe neppure male, se non fosse che praticamente ricalca quanto già visto nella precedente e, malgrado la buona costruzione della scena, non suscita completamente l'effetto voluto. Archiviati, per fortuna, i riferimenti a Lost, Alcatraz propone una buona terza puntata, senza praticamente alcuno sviluppo della trama orizzontale, ma offrendo come al solito un buon intrattenimento.

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