Albert Nobbs, la recensione
Allungato all'inverosimile a partire da un racconto breve, il film per il quale Glenn Close è candidata all'Oscar ha nella sua performance il suo punto debole più grave...
Sarà ricordato come "il film in cui Glenn Close si trucca da uomo", ribaltamento del più tipico clichè hollywoodiano, quello per il quale ogni grande attore, ad un certo punto della sua carriera, si misura con il travestitismo.
Tirato, stiracchiato, allungato e mescolato all'inverosimile il film è una storia che per tutta la sua durata rimesta in un calderone più che noto, incapace di portare svolte sostanziali e (purtroppo) anche incapace di coinvolgere mai veramente con i vari drammi proposti (una donna impossibilitata ad affermare la propria femminilità, lo sprezzo delle classi superiori, l'ingiustizia delle condizioni di lavoro).
Certo non è semplice nemmeno destreggiarsi con i terribili dialoghi scritti dagli sceneggiatori, ma andando a guardare i loro nomi si scopre quello di uno scrittore di libri e della stessa Glenn Close...
Molto più incisiva è sembrata invece l'altra candidata dell'Academy (a miglior attrice non protagonista), Janet McTeer, nel ruolo di un'altra donna che si finge uomo per tirare avanti in tempi di crisi, ma che, a differenza della protagonista, ha una vita più risolta, è accoppiata e in pace con la propria condizione.
Nel caso della McTeer, una trasformazione fisica non eccellente (sembra avere dei cuscini sotto i vestiti) non ha influito sulla bontà della prova. Grave, seriosa ed eccessivamente virile come si conviene a qualcuno che finge, il suo personaggio è l'unico del film a portare un'idea di complessità e il fascino dell'inconsueto.