Al nuovo gusto di ciliegia: la recensione

Al nuovo gusto di ciliegia è una miniserie con ambizioni lynchane ma che si muove in territori più decisamente horror, tra Cronenberg e Barker

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Al nuovo gusto di ciliegia, miniserie Netflix creata da Nick Antosca e Lenore Zion e tratta dal romanzo omonimo di Todd Grimson, è una serie furba e che sa come farsi volere bene fin da subito. Si presenta – ed è stata descritta in questo modo anche da gran parte della stampa – come un’opera lynchana, tra il metacinema di Mulholland Drive e certe atmosfere folli di Twin Peaks, e in questo modo attira immediatamente l’attenzione. Poi però, pur mantenendo sempre una certa attinenza con le opere del proprietario del miglior canale YouTube di sempre, prende altre strade, abbandona gradualmente i simbolismi e le metafore per gettarsi a pesce in un’orgia di carne, sangue, ossa, sesso, magia nera e gattini che ha più a che spartire con Cronenberg e Clive Barker che con David Lynch. E così riesce a vendersi come un prodotto glamour e raffinato, e tutto questo mentre i cinque registi che si susseguono dietro la macchina da presa si divertono a giocare con il gore, le possessioni demoniache e a mettere in scena una serie di sequenze che solitamente trovano posto in altre opere decisamente più di nicchia.

Ruota tutto intorno alla fenomenale Rosa Salazar: la fu Alita è Lisa Nova, aspirante filmmaker che arriva a Hollywood con tante speranze e un singolo cortometraggio nel portfolio. Visto però che siamo nel 2021 e da Mulholland Drive sono passati ormai vent’anni, Lisa si trova subito a scontrarsi non con visioni oniriche e barboni nei vicoli, ma con il più classico dei produttori hollywoodiani come vengono rappresentati nel post-Weinstein: Lou Burke (Eric Lange, eccellente spalla di Salazar per tutti e otto gli episodi) promette a Lisa che il suo film si farà, ma cambia idea dopo aver provato a violentarla ed essere stato respinto. La reazione di Lisa è il dettaglio che sposta la vicenda dai territori lynchani a quelli più francamente horror di, per dirne uno, Stephen King: l’artista va dalla strega Boro (Catherine Keener, sempre deliziosamente al confine con l’overacting) e le chiede di lanciare una maledizione su Lou e di rovinargli la vita.

Rosa Salazar

Come in tutti gli horror che si rispettino, un patto con il diavolo (o con una strega, in questo caso) non è mai indolore o senza conseguenze: nel corso di 8 episodi che ci si beve come un bicchiere d’acqua in piena estate, Al nuovo gusto di ciliegia (qui il trailer) esplora le conseguenze della maledizione su Lou, ma soprattutto su Lisa e su tutte le persone che le girano intorno. I beat dell’horror demoniaco ci sono tutti, come non mancano alcune figure classiche del genere: uno su tutti, lo spirito inquietante che vibra e si muove più rapidamente di quanto potrebbe fare un essere umano – una definizione goffa per descrivere una creatura tutto sommato tradizionale e che vi farà esclamare “ah, intendeva questo!” quando la vedrete. L’aderenza ai modelli è tale che se c’è una cosa negativa che si può dire su Al nuovo gusto di ciliegia è che sia poco sorprendente; che non significa che manchino le immagini memorabili e perturbanti (tra cui tutte quelle che hanno a che fare con i gattini), solamente che, una volta che si va oltre allo shock factor ci si rende conto di stare assistendo alla nuova, ennesima versione della parabola del Faust, declinata come fosse un horror anni Ottanta.

Non prendetela come una critica, solo come un avvertimento: dove Lynch, che pare essere il modello principale su cui è costruita la serie, metteva l’orrore e le immagini oniriche al servizio dei suoi simbolismi e della storia che voleva raccontare, in Al nuovo gusto di ciliegia è tutto molto più esplicito, leggibile e non soggetto a interpretazioni. La strega esiste, il soprannaturale esiste, e Lisa ci si ritrova invischiata senza volerlo (o quasi) e deve trovare il modo di uscirne viva. È tutto molto più, per usare un’espressione inglese, in your face di quanto sia mai stato David Lynch, e certi graditissimi eccessi gore, e soprattutto il legame fortissimo che viene tracciato tra sangue, sesso e morte, fanno venire in mente più Hellraiser che a Twin Peaks.

Al nuovo gusto di ciliegia ha il merito di vivere anche al di là dei suoi deliri sanguinolenti: è facile affezionarsi ad almeno alcuni di questi personaggi, e tutto il cast di supporto che ruota intorno al triangolo di protagonisti (che diventa quadrato dopo qualche episodio) serve ad alleggerire la tensione, a donare un po’ di umorismo alla serie e più in generale a riempirla, completarla e darle quella rotondità tematica e tonale che ci fa sperare che il finale dell’ottavo episodio non sia solo un classico finale aperto, ma una promessa di ritornare in futuro in questa folle Los Angeles degli anni Novanta, dove la gente prende fuoco alle feste e dove produttori molestatori e registi incapaci e raccomandati dividono la scena con zombi, gattini e spiriti tribali.

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