Ai confini del male, la recensione

Un poliziotto rovinato, un caso lurido, il cielo sempre nuvole e l'abiezione morale, è un neo-noir tutto giusto che però non funziona mai

Critico e giornalista cinematografico


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Ai confini del male, la recensione

Non dovevano essere male soggetto e poi trattamento di Ai confini del male, c’è tutta un’aria riconoscibile di noir nostrano, marginale e rovinato, qualcosa che sta tra i gialli italiani (nel senso letterario non i gialli in stile Argento) e gli investigatori moderni con una vita schifosa, il fisico martoriato dall’alcol e la barba sfatta. Insomma c’è l’aria del classico, con la color correction virata sui blu e il grigiore costante di un cielo in cui le nuvole non se ne vanno mai. È insomma concepito bene Ai confini del male, e non dev’essere stato nemmeno facile! Proprio per questo tuttavia è sempre evidente come in realtà non funzioni, come manchi qualcosa alla messa in scena di un film che non riesce mai a farsi godibile.

La trama è il consueto intreccio da neo-noir, con una latente sporcatura sessuale, dei cadaveri, legami familiari (lo scopriamo subito che il padre della persona che tutti cercano è il capo dei Carabinieri) e una serie di misteri a scatola cinese, scoperto uno ce n’è sempre un altro dentro. Uno di quelli in cui al cui centro c'è soprattutto l'abisso dell'abiezione morale, in cui la scoperta finale non sarà tanto quella del colpevole ma quella di quanto in basso possano andare gli esseri umani.

Protagoniste sono le forze dell’ordine in una visione (una volta tanto!) non conciliante e non buonista. Solo che una serie di dialoghi espositivi affossano la nostra capacità di entrare dentro questa trama, e poi inevitabilmente appoggiandosi così tanto ai dialoghi la componente visiva del film finisce per essere svilita. Sì, i personaggi sono giusti, sono vestiti, truccati e inseriti negli ambienti giusti, il look di tutto Ai confini del male non ha problemi, ma la sua lingua per immagini è poverissima, è un film che inquadra chi sta parlando mentre dice quel che ha capito e non cerca mai di dire qualcosa con il reparto visivo.

Questo terzo lungometraggio da regista di Vincenzo Alfieri (anche montato da Vincenzo Alfieri) è legnoso, gli snodi narrativi non hanno il necessario respiro e anche le molte scene di dialogo non hanno una grande tensione interna. Ci si potrebbe aspettare molto dagli scambi tra Edoardo Pesce e Massimo Popolizio ad esempio, e invece sono sempre una delusione. L’impressione è che sia tutto sbilanciato e questo faccia sì che il film non sfrutti a pieno il proprio potenziale.

Una frase importante: "Sono stanco di come vanno le cose rispetto a come dovrebbero andare", è un po’ il simbolo di tutto questo, molto contorta per essere pronunciata così, d’istinto, per suonare naturale, ed esageratamente pomposa per il concetto che vuole esprimere. Anche se in teoria quel che vuole dire e quello a cui serve nel film è giusto.

Allo stesso modo Ai confini del male suona corretto, ha senza dubbio la volontà migliore, conosce quel che vuole fare, è chiaro che si misura con un genere e delle idee con le quali ha confidenza e addirittura non tira indietro la mano, cosa inusuale per un noir italiano! Non ha paura del sangue o delle parti più aspre della sua storia. Eppure la maniera in cui allunga le scene, fatica a portare avanti i dialoghi e usa male la lingua delle immagini riesce a rendere tutto, misteriosamente, non interessante.

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