Ahsoka 1x08, "La Jedi, la strega e il signore della guerra": la recensione
La recensione dell'ottavo episodio di Ahsoka, il finale di stagione della serie di Star Wars disponibile su Disney+
La recensione dell'ottavo episodio di Ahsoka, intitolato “La Jedi, la strega e il signore della guerra", disponibile su Disney+.
Basterebbe dire che l’episodio finale è aderente, nel bene e nel male, alla filosofia Filoniana di Star Wars per definire questo episodio a pennello. Se però la maggior parte degli spettatori interpreterebbe questo apprezzamento nel migliore dei modi, in realtà una visione più disincantata degli eventi e dei temi di questo finale di stagione lascia affiorare qualche crepa, proprio come quelle delle armature dei soldati di Thrawn. In quelle, come in questo episodio, c’è la bellezza di un vissuto imperfetto ma intenso? Affrontiamo i vari temi portanti più approfonditamente.
Linee Narrative Chiuse…
Ovviamente, molte sono le trame che giungono a compimento in questo episodio finale. Inizieremo col dire che giunge alla sua ovvia e più auspicata conclusione la vicenda del ritorno di Thrawn. Come quasi tutti immaginavano, il Grand’Ammiraglio Chiss porta a termine i suoi piani e, pur se con qualche sacrificio e magari qualche compromesso di troppo, fa il suo ritorno nella galassia “tradizionale”. Era chiaro che toccasse al Grand’Ammiraglio il compito di reggere sulle sue spalle il ruolo di villain principale dei progetti starwarsiani futuri, e Ahsoka lo lascia esattamente in questa posizione. Confermata e approvata sia la resa del personaggio che la prova attoriale di Mikkelsen nel rendere il personaggio (forse ancora un po’ troppo convintamente… Imperiale, a fronte di una controparte letteraria che avrebbe scopi e indole più indipendenti, ma magari ci sarà tempo per esplorare questo aspetto negli appuntamenti futuri).
…e Linee Narrative Aperte…
Si parlava dei progetti starwarsiani futuri. La serie si conclude lasciando molte questioni avvolte nel mistero: i piani di Thrawn per la restaurazione dell’Impero (destinati a fallire o a evolversi nel venturo Primo Ordine?), il contenuto del misterioso carico trasferito dalle Grandi Madri da Peridea a Dathomir (di abbondanti indizi sulla natura ‘non morta’ delle loro operazioni ne abbiamo, ma ufficialmente è un altro filo in sospeso).
Lo stesso vale per i personaggi rimasti su Peridea. Oltre agli eroi, abbiamo anche le due ‘schegge impazzite’, i due Jedi caduti Baylan Skoll e Shin Hati, pressoché assenti per la totalità dell’episodio, al punto in cui più di filo in sospeso si può parlare più di soppressione o di rimando a tempi indeterminati delle loro storie. Forse non sapremo mai se la (non) conclusione delle loro storie sia sempre stata concepita come tale, o se in fase di montaggio non sia stata tentata una riscrittura o un’alterazione di qualche tipo dovuta alla scomparsa dell’interprete di Baylan. Nel caso del Jedi più anziano, la conclusione, per quanto criptica, potrebbe aprire la porta ad altri sviluppi interessanti (le statue che raggiunge nella scena finale sono le statue degli Dei di Mortis, antiche e potenti entità introdotte nella serie animata di Clone Wars, e sì, ancora una volta Filoni preferisce l’autoreferenzialità e il ritorno alle sue stesse creazioni che non cimentarsi in qualcosa di nuovo oppure, non sia mai, di creato da qualcun altro nell’universo starwarsiano). Lascia più perplessi il non-finale dedicato a Shin, che avevamo lasciata come definita legata ad ambizioni di potere più tradizionali e terrene, e che paiono sfociare semplicemente nella rivendicazione del controllo di una tribù di predoni semiselvaggi.
La crossmedialità è sempre una sfida narrativa interessante, ma sarebbe opportuno trovare un giusto equilibrio tra un’esperienza narrativa completa e autoconclusiva e i collegamenti a opere passate e future. Il finale di Ahsoka sembra puntare poco sulla prima e chiedere agli spettatori un grosso investimento di fiducia e di pazienza sui secondi. Non c’è dubbio che sarà ricordata come una serie che pone le fondamenta per numerosi racconti futuri. I vari personaggi e le loro storie, forse, escono un po’ sacrificati a queste necessità metanarrative e avrebbero beneficiato di qualche spazio e tempo un più che fossero ‘tutti loro’. Anche per loro, il verdetto è rimandato alle produzioni future.