Aggro Dr1ft, la recensione | Festival di Venezia

Aggro Drift è un esperimento audiovisivo che attinge da videogioco, musica e film. Un'esperienza creata da Harmony Korine che non si dimentica

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La recensione di Aggro Dr1ft, il film di Harmony Korine presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia

Aggro Drift è un’idea, un concetto di cinema, e come tale va valutato. Non si può quindi utilizzare l’usuale criterio di analisi: quello che osserva l’armonia tra le parti del racconto, il senso della trama, le soluzioni espressive ed emotive adottate. Il nuovo film di Harmony Korine è solo stile che parla di uno stile. Pura estetica. Tutto ciò che è narrativo è fatto appositamente per aderire a quello che è considerato il peggio, il punto zero, del racconto.

La trama è minimale quanto il nome del suo protagonista: Bo. Un assassino. Ama la sua famiglia. Vuole libertà e amore. Il suo mestiere lo richiama in azione dopo ogni missione come in un loop. Deve uccidere su commissione, è il migliore per farlo. Percepisce che c’è della magia nel mondo, non la vede ma si sa far guidare da essa. Questa magia ha la forma di un demone (simile al Balrog del Signore degli Anelli) che lo protegge. Per la sua missione più difficile crea un esercito di protettori del bene, l’esercito di Zion, contro l’impero del male. 

Esattamente come è scritto, Aggro Dr1ft potrebbe essere la storia di un videogioco anni ’90, o di una minimale mitologia in cui ci sono solo estremi. Bene e male. Amore e violenza. Vita e morte. Come gran beffa, Harmony Korine riempie questa storia senza sfumature di dialoghi ancora meno rilevanti. Così per un’ora e venti il voice over di Bo sentenzia con fare da filosofo esistenzialista frasi inutilmente pompose. “Sono un uomo solitario, il mio lavoro non è mai finito, quello che conta è l’amore dei figli”. Il suo nemico fa lo stesso: "Vieni da me codardo, è giunto il tuo momento, fiuto la tua paura". Solo che il tono con cui declamano questi non-dialoghi è quello di chi sta rivelando delle preziosissime massime di vita.

Appare anche Travis Scott, sodale di Korine in questo folle progetto. Il suo personaggio dice continuamente a Bo, il suo maestro, una serie infinita di variazioni intorno al concetto: “Tutto quello che so l’ho imparato da te!”. Sembra pronto a fare chissà che cosa, invece resta così, come un semplice personaggio dialogante. 

Con queste premesse se Aggro Drift fosse un film sarebbe inguardabile. Invece quella di Harmony Korine è un’esperienza audiovisiva che appartiene al mondo della videoarte, del videogioco, della musica e solo infine del cinema. L’intero film è infatti girato tramite termocamera. L'effetto, per intenderci, è quello della visione di Predator. A volte sugli sfondi o proprio sulla pelle dei personaggi appaiono linee che richiamano figure demoniache o ibridazioni cyberpunk. Elden Ring incontra GTA e Mortal Kombat dentro immagini da trip. Ci sono mutanti con la lingua di serpente ed energumeni cattivissimi che attendono i combattimenti con movimenti tribali. La musica elettronica inizia nel synthwave e finisce con uno stridore lancinante che fa impallidire quelli ideati da Bernard Herrmann. Talvolta si capisce se alcuni corpi o volti che si intuiscono nelle pieghe di colore siano effettivamente sullo schermo o se siano un inferenza del cervello.

Si giudichi quindi l’idea, che pare essere quella di portarci all’interno di un mondo a rovescio. Ci si sente dentro un videogioco che vive senza giocatori. Un disco rotto che continua a tornare negli stessi luoghi salvo poi sovrapporre quasi casualmente anche elementi dissonanti. Una beffa contro le regole di narrativa. Korine fa uno sforzo incredibile nell’usare solo cliché, solo le peggiori idee dei film più triti e ritriti. Va detto, senza alcuna ironia, che serve un enorme impegno per essere così sistematici nel comporre un’opera solo con gli elementi di peggior gusto possibile. 

Che sia una scelta consapevole lo si capisce alla fine di Aggro Drift quando persino la musica esplode in una retorica insopportabile e stridente da diventare esilarante. Bo ci spiega che la famiglia è la cosa che più conta al mondo, che il bene è bello, il male è male, mentre due prostitute in costume decapitano il nemico sconfitto e si lanciano la testa e bagnando il terreno con il suo sangue. È un cinema così radicale che, nel bene o nel male, dopo una visione in sala (e riuscendo ad arrivare alla fine) non lo si dimenticherà per tutta la vita.

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