Agents of S.H.I.E.L.D. 2x07 "The Writing on the Wall": la recensione

Il settimo episodio stagionale di Agents of S.H.I.E.L.D. risponde ad alcune domande

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
"Tahiti is a magical place". Il settimo episodio stagionale di Agents of S.H.I.E.L.D. parte con un doppio prologo, ma il punto centrale rimane sempre lo stesso: le misteriose scritte (una mappa?) impiantate nella mente di Coulson e non solo nella sua. The Writing on the Wall è un episodio decisivo nel portare avanti la mitologia interna alla serie – accade spesso quest'anno, non male per uno show che all'inizio dello scorso anno si muoveva come un procedurale – e nel chiudere una fase della ricerca portata avanti dal team. Se fino ad ora la domanda verteva sul cosa cercare, ora rimane da capire il dove. Risposte che ovviamente aprono nuove domande, in una puntata che ancora una volta conferma la crescita della serie. Gli ascolti intanto continuano a scendere.

Dalle misteriose scritte al dramma personale vissuto da Coulson il passo è breve. I misteriosi impulsi si fanno sempre più frequenti, e tracciano la strada verso la pazzia. Ecco quindi un passo indietro per poter andare avanti, e la scoperta dell'esistenza di altri sei soggetti che si sono sottoposti al trattamento GH-325. Proprio uno di questi rappresenterà la minaccia settimanale – si tratta del misterioso uomo che si faceva tatuare i simboli sul corpo – e spingerà il team e il suo leader oltre i limiti di sicurezza per poter fermare la minaccia e fare un decisivo passo in avanti rispetto all'HYDRA nel raggiungimento dell'obiettivo. Intanto Ward sfugge agilmente agli uomini dello S.H.I.E.L.D. che ne seguono la fuga, fino a far perdere le proprie tracce e potersi dedicare – in una sequenza finale che sembra omaggiare palesemente Il silenzio degli innocenti – ad una vendetta personale.

Ovviamente non abbiamo idea di quali siano i piani nascosti per lo show di Joss Whedon, ma quel che è certo è che Agents of S.H.I.E.L.D. non è una serie come le altre. Nel bene o nel male non varrà mai solo per se stessa, ma dovrà sempre fare rapporto, come ad un superiore, a quell'universo – in senso letterale e simbolico – che è il progetto Marvel. Se così non fosse non sarebbe partito con tante aspettative un anno fa, e sicuramente non avrebbe fatto i numeri incredibili della première, ma d'altra parte ora si riuscirebbe anche a vederlo per ciò che è: una serie in crescita costante, che riesce nella difficile opera di equilibrare un'identità interna che deve avere e comunque riferirsi sempre di più all'universo di cui fa parte, piuttosto che esserne un semplice debole spin-off televisivo. Le risposte quindi arrivano, tramite spiegoni, probabilmente spinte dalla necessità di venire incontro ad un pubblico che si assottiglia di settimana in settimana, ma arrivano.

In conclusione di puntata Coulson si rivolgerà ai suoi, e a noi, parlando di un puzzle che prende sempre più forma. Accompagnati in una visione/flashback resa in modo abbastanza creativo – regia di Vincent Misiano, che quest'anno aveva già diretto la première – apprendiamo sempre di più sul progetto Tahiti. In realtà si tratta di una parentesi praticamente conclusa in sé: rimangono punti interrogativi sul contatto con l'antica presenza aliena sulla Terra (da questo punto di vista potrebbe aiutarci, e già ne abbiamo avuto un assaggio, Agent Carter), ma la storia appare ormai proiettata nel futuro. Un futuro che potrebbe essere davvero lontano, a giudicare dai titoli fatti recentemente agli annunci sulla Fase 3 dell'universo Marvel, e che potrebbe riguardare da vicino i nostri. E viene in mente un paragone con altre serie supereroiche che ad un approccio di questo tipo preferiscono lanciare riferimenti palesi e immediati, senza poi costruire su questi nulla di concreto.

The Writing on the Wall è quindi un buon episodio, che conferma la struttura sempre più orizzontale della serie, in cui le singole apparizioni (Bobbi Morse su tutte) valgono sempre più nell'apporto che possono dare alla vicenda principale, senza pretendere per sé più del dovuto. In un microuniverso sempre più definito come quello della serie, anche i caratteri interni hanno una maggiore tridimensionalità – parola chiave nella puntata – e, tanto per citarne uno su tutti, il Ward villain convince di più da "cattivo solitario" piuttosto che da agente. Intanto, mentre ci ripromettiamo di rispondere al telefono la prossima volta con un "Hail Hydra", la parola che ci viene alla mente è: Inhumans.

Continua a leggere su BadTaste