Agent Carter 2x08 "The Edge of Mistery"/2x09 "A Little Song and Dance": la recensione

Lo scontro finale tra Peggy e Whitney Frost si avvicina, mentre Agent Carter costruisce il climax della seconda stagione

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Spoiler Alert
In questa annata complessivamente inferiore alla prima, Agent Carter riscatta in leggerezza ciò che perde in profondità. Prova ne è il fatto che, in mezzo a tradimenti, sparatorie, rapimenti e drammatiche conseguenze, l'unico momento memorabile del doppio episodio sia un adorabile siparietto musicale inserito come incipit della nona puntata. L'episodio in questione si intitola A Little Song and Dance, e il balletto iniziale lascerà presto spazio a danze più turbolente e pericolose, con Peggy e Jarvis che riallacciano i contatti con gli alleati rimasti, anche con quelli con cui è difficile stabilire un rapporto di fiducia, ancora una volta sulla strada per fermare i piani megalomani e distruttivi di Whitney Frost. Nell'intrecciarsi degli eventi tra questa puntata e quella precedente, intitolata The Edge of Mistery, la serie Marvel non riesce a costruire un climax degno di quello dello scorso anno. Eppure, arrivati a questo punto, è difficile parlar male di personaggi che conosciamo così bene.

All'ombra della falsa promessa fatta da Jarvis a sua moglie sul fatto che Peggy non avrebbe avuto un impatto sulle loro vite, ritroviamo il maggiordomo al capezzale della donna che ama. Qui la scrittura lavora su una caratterizzazione più intima del personaggio interpretato da James D'Arcy, accentuandone le spigolosità, il rancore e la rabbia per ciò che è accaduto. Un certo risentimento anche verso la stessa Peggy che in realtà nasconde senso di colpa per ciò di cui lui stesso si ritiene responsabile. Più che con i suoi subalterni, più che con i suoi presunti interessi amorosi, la relazione fondamentale costruita dalla serie è quella tra la protagonista e il maggiordomo degli Stark, e anche in questo caso non si perde occasione per portare ad un livello successivo il loro rapporto di amicizia e complicità.

Ma non ci sarà tempo per fermarsi a riflettere. Il piano di Whitney, che nel frattempo ha rapito Wilkes, indispensabile per manipolare la Materia Zero, si va concretizzando. Seguirà un balletto di rincorse, false piste e improvvisi cambiamenti di fronte, nessuno dei quali in realtà giustificato a dovere. Anzi, i tumulti interiori provati da Wilkes sanno più di scappatoia per risolvere il triangolo amoroso e lasciare campo libero a Sousa, che da parte sua sembra aver dimenticato in fretta la sua ex fidanzata. Idem per Thompson e Vernon, ora su un fronte, ora su quello opposto, solo in conclusione capaci, soprattutto il primo (personaggio mai completamente positivo, nonostante il suo essere schierato dalla parte dei "buoni"), di rientrare nei ranghi dei ruoli che gli competono.

Due episodi in più rispetto alla prima stagione, eppure sembra che quest'anno Agent Carter abbia raccontato di meno e scendendo meno in profondità. Quella che nella prima annata veniva avvertita come urgenza narrativa, raccontata con un ritmo più elevato e una storia che diventava più grande all'approssimarsi del finale, è stata in parte ribaltata nella seconda stagione. I conflitti emotivi, su tutti la presunta storia d'amore tra Peggy e Wilkes, ci sono arrivati quasi come preconfezionati e dovuti, ma raramente sinceri. Stessa cosa per il ritmo della serie, che dopo tre-quattro episodi ben assestati si è adagiata su un rimpallo di situazioni e impedimenti reciproci, lasciandoci solo a tratti intravedere un quadro generale e un obiettivo finale che sa più di motivazione generica per gli eventi.

Peccato, perché nei suoi momenti più ispirati e creativi la serie riesce a emanciparsi dal resto del MCU, costruendo quell'originalità all'interno di uno scenario da period che dicevamo all'inizio del commento alla première. E qui torniamo al momento musical (rivediamo Lindsy Fonseca!), leggero, ben eseguito, ironico, davvero una boccata d'aria fresca.

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