Agent Carter 1x08 "Valediction" (season finale): la recensione

Termina la seconda serie tv della Marvel: ecco cosa è accaduto nel finale di Agent Carter

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Spoiler Alert
Apparentemente una serie come Agent Carter ha ben poco in comune con il resto del Marvel Cinematic Universe. Diversa epoca e diversi personaggi, zero superpoteri e zero supercattivi, perfino un genere un po' diverso e che strizza l'occhio più alla spy-story che all'action. Ma qualcosa c'è, ed è la capacità della Casa delle idee di modellare i propri eroi a partire da stampi non privilegiati, da figure che per scelta o per nascita non sarebbero destinate a diventare i difensori dell'umanità. Da un lato un principe presuntuoso, un ragazzo gracile, un mostro e un "genio, miliardario, playboy", dall'altro una donna, un maggiordomo e un altro "genio, miliardario, playboy" (che sarebbe il padre di quello di prima).

C'è la più classica delle vittorie che passa attraverso il riscatto personale, di fronte a se stessi e agli altri, c'è il destino che pone in condizioni di inferiorità, ma anche la libertà di scolpire la propria strada tramite le scelte più giuste. Fin dall'inizio il tema del femminismo è ritornato ancora e ancora come chiave di lettura della vita professionale di Peggy Carter, nonostante tutti i successi ottenuti in guerra relegata in tempo di pace a banale burocrate dell'SSR. Nel season finale Valediction questi pregiudizi inevitabilmente si ripropongono, soprattutto in una conclusione che – con un'intuizione davvero buona – sceglie di deviare all'ultima curva e non consegnare la nostra protagonista ad un trionfo assoluto e completo. Un anno dopo la scomparsa di Steve Rogers, Peggy riesce ad andare avanti e ad ottenere l'applauso e il riconoscimento dei colleghi. Non sarà così dalle alte sfere, ma poco importa al momento.

Ma tutto questo arriverà solo nel finale, in un episodio che in effetti nella prima parte sacrifica comprensibilmente la protagonista all'evoluzione della storia verso le sue battute finali. La crisi innescata da Ivchenko e Dottie sta per abbattersi, sotto forma di un virus che scatena istinti violenti, su Manhattan, e tocca ai nostri protagonisti intervenire. Jarvis torna ad essere la spalla dei primi episodi, e si imbarca in quella che sarà la sua missione più difficile. Ma c'è spazio anche per Sousa – rilanciata nel finale la sua possibile relazione con la protagonista – e Thompson – proprio quando ti aspetti che divida il suo successo con gli altri, ecco che invece si comporta un po' da egoista – in questo finale che lascia a tutti un posto da interpretare.

Torna anche Howard Stark, che proprio nel momento di crisi massima trova una via per il riscatto personale. Non fa molto in concreto oltre ad essere una buona esca e a farsi ipnotizzare da Ivchenko, ma l'azione è meglio lasciarla ad altri membri della famiglia, per ora basta un sincero pentimento. Arriva poi, atteso e soddisfacente, il confronto finale (?) con Dottie (Bridget Regan). Peggy riesce a sconfiggere la propria nemesi, ma rimangono finestre aperte su un suo possibile ritorno, che ovviamente si concretizzerà se la serie vedrà una seconda stagione. Ma dove l'episodio vince è nella scelta del climax, che non coincide, come ci si aspetterebbe, con una scena d'azione o con il disinnesco della minaccia imminente, quanto con un accorato appello di Peggy alla trasmittente verso Howard.

Mentre l'aereo guidato dallo scienziato sta per seminare la morte su New York, la nostra attenzione viene deviata verso un ovvio quanto riuscito parallelo con la famosa ultima conversazione tra la protagonista e Captain America. Peggy rivive quel trauma, e nel farlo scopre che l'unica soluzione coincide con il lasciare andare una volta per tutte l'uomo che ama. Tutto è nato, come il prologo del primo episodio ci ha ricordato, da una semplice comunicazione via radio, e a quella tutto è ritornato nel finale, sia come mezzo per la vittoria sia come occasione di maturazione per Peggy. Agent Carter, che non ha a disposizione grandi possibilità tecniche, punta al cuore dei personaggi e riesce a tirar fuori qualcosa di buono ed elegante. In assenza di conferme o smentite su una eventuale seconda stagione è inutile dire qualcosa sulla scena dopo i titoli di coda e sul cameo al suo interno. Meglio ragionare su ciò che abbiamo visto in questi otto episodi.

Il bilancio della seconda serie tv Marvel, in attesa di Daredevil, è sicuramente positivo. Agent Carter è stata una serie in crescita, in effetti più episodica di quello che ci si aspettava alla vigilia, quando in pratica si parlava di un lungo film in otto episodi, ma soddisfacente. Con i mezzi a disposizione si è ricostruito un universo narrativo sulla scia del finale di Captain America più che sulle premesse di ciò che sarebbe arrivato in seguito. I riferimenti, soprattutto con il programma Vedova Nera, non sono mancati, ma Agent Carter è stata soprattutto una piccola parentesi incastonata tra il film su Steve Rogers e il One-Shot del 2013, il tentativo riuscito di raccontare la ripresa, in altre forme, delle ostilità, e il riscatto personale della protagonista.

E Hayley Atwell a questo proposito è stata davvero la punta di diamante di un ottimo cast: una combinazione di durezza e fragilità, rimpianto e determinazione che hanno trascinato in avanti la serie anche nei suoi momenti più fiacchi. La costruzione di Dooley (Shea Whigham), Sousa (Enver Gjokaj) e Thompson (Chad Michael Murray) ha giocato invece con figure un po' tipiche, ma è riuscita a non perdersi negli stereotipi del genere. Ma, per quanto le apparizioni di Dominic Cooper siano state gradite, è con Jarvis (ottimo il lavoro di James D'Arcy) che si è raggiunta la maggiore alchimia e le intuizioni di scrittura più felici. Un piccolo progetto che nell'universo Marvel si troverà schiacciato da kolossal di ben altro impatto, ma che è riuscito a intrattenerci bene e a costruire una bella storia.

Continua a leggere su BadTaste