Agent Carter 1x08 "Valediction" (season finale): la recensione
Termina la seconda serie tv della Marvel: ecco cosa è accaduto nel finale di Agent Carter
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C'è la più classica delle vittorie che passa attraverso il riscatto personale, di fronte a se stessi e agli altri, c'è il destino che pone in condizioni di inferiorità, ma anche la libertà di scolpire la propria strada tramite le scelte più giuste. Fin dall'inizio il tema del femminismo è ritornato ancora e ancora come chiave di lettura della vita professionale di Peggy Carter, nonostante tutti i successi ottenuti in guerra relegata in tempo di pace a banale burocrate dell'SSR. Nel season finale Valediction questi pregiudizi inevitabilmente si ripropongono, soprattutto in una conclusione che – con un'intuizione davvero buona – sceglie di deviare all'ultima curva e non consegnare la nostra protagonista ad un trionfo assoluto e completo. Un anno dopo la scomparsa di Steve Rogers, Peggy riesce ad andare avanti e ad ottenere l'applauso e il riconoscimento dei colleghi. Non sarà così dalle alte sfere, ma poco importa al momento.
Torna anche Howard Stark, che proprio nel momento di crisi massima trova una via per il riscatto personale. Non fa molto in concreto oltre ad essere una buona esca e a farsi ipnotizzare da Ivchenko, ma l'azione è meglio lasciarla ad altri membri della famiglia, per ora basta un sincero pentimento. Arriva poi, atteso e soddisfacente, il confronto finale (?) con Dottie (Bridget Regan). Peggy riesce a sconfiggere la propria nemesi, ma rimangono finestre aperte su un suo possibile ritorno, che ovviamente si concretizzerà se la serie vedrà una seconda stagione. Ma dove l'episodio vince è nella scelta del climax, che non coincide, come ci si aspetterebbe, con una scena d'azione o con il disinnesco della minaccia imminente, quanto con un accorato appello di Peggy alla trasmittente verso Howard.
Il bilancio della seconda serie tv Marvel, in attesa di Daredevil, è sicuramente positivo. Agent Carter è stata una serie in crescita, in effetti più episodica di quello che ci si aspettava alla vigilia, quando in pratica si parlava di un lungo film in otto episodi, ma soddisfacente. Con i mezzi a disposizione si è ricostruito un universo narrativo sulla scia del finale di Captain America più che sulle premesse di ciò che sarebbe arrivato in seguito. I riferimenti, soprattutto con il programma Vedova Nera, non sono mancati, ma Agent Carter è stata soprattutto una piccola parentesi incastonata tra il film su Steve Rogers e il One-Shot del 2013, il tentativo riuscito di raccontare la ripresa, in altre forme, delle ostilità, e il riscatto personale della protagonista.
E Hayley Atwell a questo proposito è stata davvero la punta di diamante di un ottimo cast: una combinazione di durezza e fragilità, rimpianto e determinazione che hanno trascinato in avanti la serie anche nei suoi momenti più fiacchi. La costruzione di Dooley (Shea Whigham), Sousa (Enver Gjokaj) e Thompson (Chad Michael Murray) ha giocato invece con figure un po' tipiche, ma è riuscita a non perdersi negli stereotipi del genere. Ma, per quanto le apparizioni di Dominic Cooper siano state gradite, è con Jarvis (ottimo il lavoro di James D'Arcy) che si è raggiunta la maggiore alchimia e le intuizioni di scrittura più felici. Un piccolo progetto che nell'universo Marvel si troverà schiacciato da kolossal di ben altro impatto, ma che è riuscito a intrattenerci bene e a costruire una bella storia.