Agent Carter 1x04 "The Blitzkrieg Button": la recensione

Giro di boa per Agent Carter: buon episodio per la serie Marvel, questa settimana con un atteso cameo

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Spoiler Alert
Arrivato al giro di boa, Agent Carter si conferma il piacevole divertissement delle prime settimane. Non la miniserie evento, non la pietra angolare dalla quale far discendere buona parte degli eventi raccontati nel MCU, ma un'esperienza televisiva in larga parte indipendente, dal ritmo non troppo frenetico, sostenuta da un ottimo cast e da una buona visione d'insieme. Un'idea magari non vincente dal punto di vista degli ascolti, che intanto continuano a calare, ma coerente e ribadita con forza anche dagli eventi di The Blitzkrieg Button, ultimo episodio andato in onda. Tante nuove diramazioni nella storia, che spaziano in un modo o nell'altro dagli States alla Germania fino all'Unione Sovietica, qualche input in più per costruire la piccola mitologia interna della serie, e un'apparizione speciale, ampiamente anticipata nelle ultime settimane, che farà sorridere i fan della Marvel.

Lo sguardo d'insieme sulla storia, in questo episodio raccontata dalla scrittura di Brant Englestein e dalla regia di Stephen Cragg, lascia sfocare i contorni della collaborazione tra Peggy e Jarvis, per allargare le maglie della vicenda. Ecco quindi che, ad eccezione di una veloce, per quanto divertente, parentesi action iniziale e un'apparizione conclusiva, il maggiordomo tuttofare interpretato da James D'Arcy si prenderà una pausa dalle situazioni raccontate. Al suo posto ritorna la guest Dominic Cooper nei panni di Howard Stark, impegnato in prima fila a dirigere sul campo l'agente Carter per recuperare un manufatto che scopriremo essere davvero importante. Le interazioni riuscite della protagonista con Jarvis lasciano il posto a quelle altrettanto soddisfacenti con lo scienziato. L'uomo viene dipinto, anche con toni macchiettistici e sopra le righe nelle sue disavventure amorose al Griffith Hotel, in un modo non troppo diverso dal figlio Tony: un riccone sciupafemmine, interessato solo al denaro, che non esita a mentire e che forse gioca a farsi odiare per non apparire fragile.

Una personalità nella quale, molti decenni dopo, Pepper Potts sarebbe riuscita a fare breccia. Ma Peggy, che non ha certamente né quella pazienza né quel legame con Stark, non ci sta ad essere ingannata e, di fronte alla scoperta che il manufatto nient'altro è che un siero con il sangue di Steve Rogers, non esita a rinfacciare ad Howard ciò che pensa di lui, per poi costringerlo a trovare un nuovo rifugio. Ed è una bella scena quella in cui Hayley Atwell, ormai completamente padrona del suo personaggio, riesce a condensare rabbia, ma anche fragilità e insoddisfazione per non essere riuscita, parole sue, a raccogliere l'eredità di Captain America, e per non essere all'altezza del suo ricordo. Il sospeso cliffhanger conclusivo ci informa che il pericolo è più vicino di quanto si pensi: come facilmente intuibile, la nuova inquilina Dottie (Bridget Reagan) è un'agente che – come sottolineato in questo approfondimento all'episodio – potrebbe nascondere dei legami con l'Unione Sovietica e con il progetto "Vedova Nera".

E in effetti la Russia ritorna, e in modo ancora più evidente, in un'altra storyline. Dall'altra parte dell'oceano, in una parentesi che avremmo sperato essere più incisiva nella trama, il capo Roger Dooley (Shea Wingam) vola a Norimberga – località del processo contro i criminali nazisti – e interroga il colonnello Ernst Mueller (personaggio apparso anche nei fumetti, qui interpretato da Jack Conley) in merito ad un massacro avvenuto in Russia, nell'area di Finow, nel quale sarebbero morti i due sovietici sui quali cerca notizie. Torna a casa con ancora più domande, e questa parentesi fuori porta si limita a mettere al centro delle dinamiche dell'SSR il rapporto professionale tra Jack Thompson e Daniel Sousa. Quest'ultimo, nell'indifferenza generale, si mette in gioco, va in strada e trova una pista che lo conduce ad un testimone degli eventi avvenuti al porto. Peccato che, in fondo, questa parentesi che si prende anche un bel po' di spazio, si risolva in un nulla di fatto. L'episodio ce la mette tutta in conclusione, tra un vago sospetto di Sousa e un certo approfondimento di questi due caratteri, per giustificare ciò che abbiamo visto, ma è difficile essere soddisfatti.

E d'altra parte, per quanto piacevole, anche il segmento con Peggy e Howard, trascinato dal MacGuffin – che tanto piace in casa Marvel – stavolta rappresentato dal siero, non aggiunge molto di più alla trama. Come lo scorso episodio, tutto si mantiene sospeso, difficilmente identificabile con i ritmi che una serie di soli otto episodi potrebbe (dovrebbe?) avere. È un difetto? Non necessariamente. Forse i contorni della vicenda possono rimanere un po' sfocati, ma il racconto dei caratteri rimane molto nitido. E Agent Carter offre una visione assolutamente piacevole, con il suo ottimo cast, la sua visione d'epoca, e i suoi piccoli indizi che a poco a poco si legano tra di loro e che, a giudicare dal promo del prossimo episodio, dovrebbero fare un grosso salto in avanti. Bonus Track: l'apparizione di Stan Lee non è tra le più memorabili, ma non può fare a meno di lasciarci con un sorriso.

Continua a leggere su BadTaste