Against the ice, la recensione

Against the ice the Peter Flinth è un survival movie da cartolina, che usa la piatta bellezza di paesaggi posticci per sopperire - fallendo - alla vacuità del racconto

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La recensione di Against the ice, dal 2 marzo su Netflix

Cosa rimane di un film sull’esplorazione umana delle terre selvagge della Groenlandia se a questo si toglie sia il senso di avventura che quello di meraviglia? Una vasta, fredda e noiosa carrellata di desolazione. Tratto dall’autobiografia dell’esploratore danese di inizio Novecento Ejnar Mikkelsen (qui interpretato da Nikolaj Coster-Waldau), Against the ice di Peter Flinth è purtroppo questo, un film che vorrebbe essere epico e commovente e che invece non è mai capace di coinvolgere e appassionare alla storica missione dei suoi protagonisti.

Scordatevi subito la sublime crudeltà della natura dei racconti di Jack London e scordatevi anche la componente esperienziale di un film, qui spesso richiamato, come Revenant (anche se gli orsi aggressivi pure qua non mancano, ma sono decisamente goffi). Nel raccontare la storia di due esploratori danesi (il secondo è Iver Iversen, interpretato da Joe Cole) abbandonati in Groenlandia per tre lunghi anni dal 1909 con la missione di disegnare una volta per tutte la cartina di quelle terre, Against the ice si presta solamente a fare il survival movie da cartolina, usando la piatta bellezza di paesaggi posticci per sopperire - fallendo - alla vacuità del racconto.

Against the ice ha diversi problemi ma quelli più evidenti riguardano il ritmo e i personaggi, ovvero il modo in cui rischio e conflitto si intrecciano tra loro. Essendo infatti l’obiettivo dei protagonisti qualcosa in costante cambiamento (prima raggiungere un posto, poi conservare un messaggio, poi riprenderlo, poi la mera sopravvivenza), in teoria sono loro stessi come personalità umane e fallibili ad assumere su di sé il reale conflitto della storia, i suoi temi, il suo senso: questo però non accade mai (facendo così crollare anche ogni pretesa filosofica) perché, nonostante sulla carta i due vengano descritti come opposti, la loro relazione rimane sempre superficiale e collaborativa, non viene mai messa alla prova o raccontata nelle sue sfaccettature.

Di pari passo, nessuno dei due singolarmente va oltre il bozzetto monodimensionale e anche se Ejnar gioca a fare il duro quando in realtà ha una gran mancanza dell’amata, il giochino di fantasmi che appaiono (sì, letteralmente) e di collanine accarezzate di nascosto decisamente non vale come approfondimento psicologico. Svuotati di ragioni e di conflitti, Ejnar e Iver rimangono due fantocci in balia di una storia che non ha niente da raccontare se non ciò che, distrattamente, mostra.

L’incertezza dei personaggi è insomma la stessa del film, e non in senso buono. Peter Flinth parte con una sceneggiatura piuttosto scarsa tra le mani ma non fa altro che assecondarne i difetti, optando per una regia che vuole riprendere nel modo più chiaro possibile (sempre a una debita distanza, con pochi stacchi) senza mai lavorare sulla relazione dei personaggi con quegli spazi, con le distanze, con le prospettive. Nessuna meraviglia, si diceva: è perché non c’è nessuno sguardo intenzionato a trasmetterla. Ed è così che l’avventura si trasforma in un cammino interminabile.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Against the ice? Scrivetelo nei commenti!

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