La recensione di Aftersun, il film in uscita su MUBI il 6 gennaio
Un evento nel presente, alle volte, può portare a leggere qualcosa di diverso in un ricordo già riportato alla mente più volte negli anni. È possibile “notare” dettagli e giungere a consapevolezze nuove anche decenni dopo un evento se qualcosa nella vita apre ad un punto di vista diverso. Ci vuole un po’ per capirlo ma è quello che è avvenuto a Sophie, per tutto il film preadolescente in vacanza con il padre e solo ogni tanto, in qualche flash, adulta che mette via pezzi di vita dopo la morte del padre. Quello che vediamo è il ricordo che Sophie ha di una vacanza in un resort da quattro soldi in Turchia che fece con suo padre (31enne quindi giovanissimo), e ora che è adulta, e che lui è morto, nel ricordarla nota molte più cose. Questa è l’impresa di
Aftersun, portarci a leggere quel che vediamo notando anche noi tutto ciò di cui una adulta Sophie può ora rendersi conto, farci leggere quei ricordi con la testa di una figlia che ha perso il padre e che adesso ha l’età per capire le sensazioni che lui provava.
In questo fluire di scene tenute insieme dal mood, dalle sensazioni di questa estate un po’ molle, un po’ noiosa, a tratti divertenti, in altri casi un po’ misera e amara, passata con il padre, c’è una strana relazione con una persona piena di risentimento verso se stessa, molto giù di morale e incapace di ingaggiare davvero un rapporto coinvolgente con la figlia. Aftersun è composto da momenti giustapposti con una piccola narrazione orizzontale, tutta compresa nell’aprirsi di Sophie a persone più grandi ed essere incuriosita dal prossimo passaggio nella sua crescita. Non è un coming of age (per fortuna) ma è un film semmai che si svolge poche settimane prima di un coming of age. Qui il protagonista non è la persona attraverso la quale guardiamo il mondo ma l’oggetto del suo sguardo: il padre.
Questione di atmosfere e soprattutto di recitazione,
Charlotte Wells (incredibile che sia il suo primo film!) crea una dinamica molto originale tra padre e figlia cioè
Frankie Corio e
Paul Mescal (che dopo la prestazione in
Normal People qui trova tutto un altro modo di lavorare in sottrazione). Quando la bambina sembra avvicinarsi il padre non risponde, quando il padre manifesta un po’ di esitazione e senso di colpa lei sembra interessata ad altro. Su tutto regna la mestizia degli occhi tristi di
Paul Mescal, perfetta per esprimere tutta l’amarezza di Sophie adulta che ricorda questi eventi, per il non essersi saputa godere quei momenti. Raramente infatti i due si incontrano sul medesimo terreno emotivo, raramente sono sulla stessa onda, eppure (e questa è la forza misteriosa del film) c’è una chiara tensione verso l’unione, fatta di affetto e della bramosia che ognuno dei due prova per un contatto con l’altro. L’inafferrabile sensazione che Aftersun racconta così bene è il rimpianto per non essere mai riuscita a capire il proprio padre come lo si potrebbe capire adesso. Eccezionale.
Quando poi alla fine Aftersun decide di chiudere cambiando completamente tono e lavorando di astrazione, posizionando il padre giovane (e morto nel presente) dentro ad una fantasia da ricordo fatta di balli in discoteca, per poi lasciarlo uscire di scena sempre metaforicamente tra partenze all'aeroporto e ancora ballo, c'è tutta la fenomenale potenza della suggestione che schiaccia quella della logica. Non importa cosa significhi, importa cosa suggerisca e che effetto abbia su di noi al termine di quella storia.