Afterlife of the Party: la recensione

Afterlife of the Party è una zuccherosa commedia fantasy targata Netflix che è uguale a mille altri film simili venuti prima di lei

Condividi
Hanno chiamato gli anni Novanta, chiedono se abbiamo trovato in giro un loro film.

Se non fosse per qualche citazione di passaggio a TikTok e ad altre diavolerie moderne, e per la (francamente insopportabile) musica della popstar fittizia Koop che accompagna le quasi due ore di film, Afterlife of the Party potrebbe tranquillamente essere stato scritto e girato trent’anni fa. Se fosse uscito sulla scia di Ghost l’avremmo salutato come una simpatica variazione su un tema – quello delle seconde possibilità, dei rimorsi e dei rimpianti, e della vita dopo la morte – che al tempo non era ancora stato sviscerato in ogni sua possibile sfumatura. Oggi, su Netflix, la stessa piattaforma peraltro che ospita quella che forse è l’opera definitiva sull’argomento cioè The Good Place, Afterlife of the Party è molto più semplicemente un film di cui non si sentiva il bisogno e che vi dimenticherete dieci minuti dopo i titoli di coda (o per lo meno vi sforzerete per farlo).

Cassie (Victoria Justice), la protagonista di Afterlife of the Party (appena uscito su Netflix, qui il trailer), è quella che in inglese viene definita, per l’appunto, “the life of the party”, l’anima della festa: è una quasi venticinquenne piena di vita che di mestiere organizza feste e nel tempo libero vi partecipa. La sua coinquilina e migliore amica Lisa (Midori Francis, che è un’attrice dieci volte più interessante della protagonista del film) è invece una paleontologa concentrata solo sul suo lavoro, e geneticamente incapace di divertirsi: le due litigano per questa fondamentale differenza di approccio alla vita, Cassie esagera, scivola in bagno, sbatte la testa su uno spigolo e muore. Si risveglia in una sorta di limbo dove viene accolta dal suo angelo custode (Robyn Scott), che le spiega le regole del gioco: Cassie ha cinque giorni per chiudere tutte le faccende che ha lasciato in sospeso prima di morire, e guadagnarsi quindi l’accesso al paradiso. Se non ci riuscirà, invece, l’aspetterà l’inferno (i due luoghi sono chiamati semplicemente The Above e The Below, un’ipersemplificazione che non può non ricordare la dicotomia Good Place/Bad Place della serie di Michael Schur).

Cassie

Lo spunto è di una banalità disarmante, e anche negli ultimi anni è stato declinato in una miriade di modi diversi, tanto più efficaci quanto in grado di staccarsi dal modello Ghost: l’esempio principe è Auguri per la tua morte, un film estremamente simile ad Afterlife of the Party eppure al contempo diversissimo, per esempio perché dotato di una personalità. Il film di Stephen Herek, che magari ricorderete come regista di La carica dei 101 con Glenn Close, è privo di qualsivoglia guizzo narrativo o registico: è una processione di buoni sentimenti e zuccherosità nel corso della quale Cassie sistemerà le vite delle persone che le sono più care e nel contempo farà pace con la sua stessa coscienza. È un film talmente prevedibile che è impossibile da spoilerare: nel momento in cui comincia già sapete come andrà a finire, e non farete fatica a indovinare almeno l’80% dei beat narrativi.

C’è pochissimo da salvare: visivamente siamo ancora fermi ai montaggi con la gente che si prova tutti i vestiti per decidere come conciarsi per la serata, la scrittura è elementare (e quando prova ad alzare la testa si schianta contro una serie di dialoghi da primo anno di scuola di sceneggiatura) e né Victoria Justice né Robyn Scott, le due alle quali è affidato gran parte del peso del film, fanno alcunché per elevarlo. Afterlife of the Party è come un bicchiere di acqua tiepida e vagamente limacciosa: va bene che avete sete, ma di sicuro potete trovare qualcosa di meglio da bere – qualcosa con un minimo di personalità, per esempio.

Continua a leggere su BadTaste