Afterlife of the Party: la recensione
Afterlife of the Party è una zuccherosa commedia fantasy targata Netflix che è uguale a mille altri film simili venuti prima di lei
Se non fosse per qualche citazione di passaggio a TikTok e ad altre diavolerie moderne, e per la (francamente insopportabile) musica della popstar fittizia Koop che accompagna le quasi due ore di film, Afterlife of the Party potrebbe tranquillamente essere stato scritto e girato trent’anni fa. Se fosse uscito sulla scia di Ghost l’avremmo salutato come una simpatica variazione su un tema – quello delle seconde possibilità, dei rimorsi e dei rimpianti, e della vita dopo la morte – che al tempo non era ancora stato sviscerato in ogni sua possibile sfumatura. Oggi, su Netflix, la stessa piattaforma peraltro che ospita quella che forse è l’opera definitiva sull’argomento cioè The Good Place, Afterlife of the Party è molto più semplicemente un film di cui non si sentiva il bisogno e che vi dimenticherete dieci minuti dopo i titoli di coda (o per lo meno vi sforzerete per farlo).
Lo spunto è di una banalità disarmante, e anche negli ultimi anni è stato declinato in una miriade di modi diversi, tanto più efficaci quanto in grado di staccarsi dal modello Ghost: l’esempio principe è Auguri per la tua morte, un film estremamente simile ad Afterlife of the Party eppure al contempo diversissimo, per esempio perché dotato di una personalità. Il film di Stephen Herek, che magari ricorderete come regista di La carica dei 101 con Glenn Close, è privo di qualsivoglia guizzo narrativo o registico: è una processione di buoni sentimenti e zuccherosità nel corso della quale Cassie sistemerà le vite delle persone che le sono più care e nel contempo farà pace con la sua stessa coscienza. È un film talmente prevedibile che è impossibile da spoilerare: nel momento in cui comincia già sapete come andrà a finire, e non farete fatica a indovinare almeno l’80% dei beat narrativi.