After Love, la recensione

Per raccontare la reazione di fronte a una scioccante rilevazione, After Love sceglie la via del thriller e della ghost story. La recensione

Condividi
Recensione di After Love, al cinema dal 10 febbraio

Per raccontare cosa rimane dopo l'amore, la reazione in seguito a scioccanti rivelazioni, After Love segue una via particolare, quella del thriller e della ghost story. Il giorno seguente all'inaspettata scomparsa del coniuge, Mary (Joanna Scanlan), sessantenne convertitasi alla religione islamica prima del matrimonio, scopre che questi aveva una vita segreta a Calais, oltre il canale della Manica, a soli trentaquattro chilometri di distanza dalla loro casa a Dover, in Inghilterra. Decide così di recarsi lì per saperne di più, introducendosi, come donna delle pulizie, nella casa dell’amante, Geneviève (Natalie Richard).

Il regista esordiente Aleem Khan, di origine anglo-pakistana, parte da una vicenda autobiografica (la madre convertitasi all'Islam per sposare il marito) ma lascia la dimensione religiosa in secondo piano, come un tratto della protagonista, ma non quello fondamentale. Mary è in primo luogo una donna che, dopo la scomparsa del marito, entra in una profonda crisi esistenziale, tra il dolore della perdita e la messa in discussione di sé stessa, del significato di una relazione dietro cui si celava una menzogna. Una vicenda privata e intima in cui però risalta da subito l’atmosfera onirica e sospesa: così, nelle prime scene, quando la vediamo vagare sola senza un apparente scopo, è chiaro che c’è qualcosa che non va: le musiche veicolano un senso di attesa e i paesaggi aperti di irrequietezza.

Dopo la rivelazione, l'intreccio diventa una detective story, nell’indagine della protagonista sulla vita segreta del marito. Il regista è molto abile nel giocare con le attese dello spettatore: l’incontro con l’altra donna è più volte procrastinato, per la difficoltà di Mary a fare il primo passo. Quando questo avviene, tutto poi inizia a ruotare intorno ad alcuni interrogativi, che riguardano sia lo spettatore (quali sono le vere intenzioni di Mary? Per alcuni tratti, quando lei comincia a girare indisturbata per la casa, il film sembra virare verso l’Home invasion) sia i personaggi stessi (Mary non rivela subito a Geneviève la morte del marito, lasciandola con la speranza di un possibile ritorno). Così, la trama procede per progressivi svelamenti che iniettano un clima di suspense e ci inducono a cambiare continuamente la percezione dei personaggi.

Se la prima parte è tutta focalizzata su Mary, la seconda si apre anche a Geneviève, mettendo in luce in particolare il suo dramma nell'essere una "seconda scelta". Poco per volta emerge la vicinanza tra le due donne, nella ricerca di un impossibile contatto con l'uomo, che passa attraverso toccare e annusare i suoi vestiti, ascoltare vecchie audiocassette da lui registrate. I possibili segni di una sua presenza (come la polvere che all'improvviso compare nelle stanze, le crepe che si formano sul muro) rendono l’atmosfera claustrofobica e spettrale, che allontana il film dalle tinte da Soap opera, verso cui lo spunto di partenza poteva portare.

A rendere riuscito il film è anche poi il lavoro sulla messa in scena, che sa rendersi molto espressiva. Khan struttura gli spazi giocando sulla profondità di campo, per evidenziare la distanza tra i personaggi (come tra moglie e marito nell'unica scena che li vede insieme) , e sulla presenza delle pareti che li schiacciano all’interno dell’abitazione. Alterna primi piani a campi medi per evitare di cadere nel melodramma: i personaggi trattengono sempre le proprie emozioni, e neanche la macchina da presa indugia su di loro, lasciando però che allo stesso tempo emergano con sincera commozione, fino a un happy end che funziona e non appare scontato. In questa sua struttura complessa e fortemente ragionata, After Love dunque riesce a parlare di sentimenti universali senza alcun ridondante sottotesto socioculturale o scivoloni nel patetico, ma (solo) con grande umanità.

Continua a leggere su BadTaste