After Blue, la recensione | Locarno74

L'incredibile stile di Bertrand Mandico salta dall'altra parte, After Blue non ha un gruppo di ragazzi ma di donne sole che scivolano verso l'ibrido

Critico e giornalista cinematografico


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After Blue, la recensione | Locarno74

Il mito della razza umana che lascia la Terra e parte per andare a vivere su un altro pianeta è arrivato anche al cinema d’autore più duro e puro. E così è anche per una delle distopie più frequenti dei nostri anni, quella che vuole che uno dei due sessi rimanga da solo. Stavolta sono gli uomini a essere tutti morti e su After Blue, il nuovo pianeta colonizzato, ci sono solo donne (che non di meno riescono ancora riprodursi). Finisce qua ciò che la seconda opera di Bertrand Mandico ha in comune con qualsiasi altro film abbiate visto che non sia il suo precedente, Les Garçons Sauvages. Su After Blue un’acconciatrice è incaricata di andare con sua figlia ad uccidere una donna (ma è più opportuno dire un essere) che si fa chiamare Kate Bush e che la figlia stessa ha risvegliato sulla spiaggia. Tutto è mostrato con l’estetica di Mandico, in cui l’analogico è un dogma e il costante ricorso ad espedienti antichi e trucchi in camera, unito ad una ricerca incredibile su costumi, trucco e parrucco recuperati riassemblati e alla fine mai visti, genera una sensazione di fantascienza di serie Z, in cui tutto ha un gusto e un intento politico sottile e quindi potentissimo.

Come già per Les Garçons Sauvages nei film di Mandico è come se l’evoluzione del linguaggio per immagini avesse avuto preso una deviazione negli anni ‘80 e lui vivesse in una linea temporale diversa dalla nostra, una in cui trovate da Tarantino come un calcio del fucile su cui è inciso “Ucciderai Kate Bush” si sposano ad un’estetica glamour da rivistacce nobilitata però da uno stile eccezionale e da continue trovate. Come se guardassimo un servizio di moda a basso budget degli anni ‘80 passato attraverso lo sguardo di David Lynch e dotato della passione per la carne viva del Cronenberg più arrapato, si rimane ammaliati dalla maniera in cui After Blue riprende elementi di Dune (ma quello di Lynch, per l’appunto!) o di Blade Runner, traducendole in uno stile scalcinato-chic di grandissima vitalità e forza.
Ci sono delle sigarette viventi, puss, mutazioni, carne, peli e unghie, oltre a molta porporina. Con questo armamentario incredibile Mandico crea un’epopea fanta-erotico-western d’alta moda, in cui le armi e le persone spesso hanno nomi come Gucci o Louis Vuitton.

Ma la forza sta nel complesso. Tutto è sfumato in questo film, a partire dai sessi, e tutto è molto eccessivo con gusto. Purtroppo però Mandico non ha il dono della sintesi e non è in grado di reggere tutte le sue due ore di durata. Sarebbe però folle negare che ancora una volta questa è una visione stupefacente e incredibilmente stimolante, piena di invenzioni originali e trovate di un umorismo fuori dagli schemi. L’obiettivo è sempre godere, e come nel film precedente anche qui ogni atto di violenza o teso alla violenza si tramuta in amplesso non appena colpisce la carne. La brutalità diventa sempre piacere. E se i ragazzi selvaggi erano un gruppo di soli maschi che assumeva sempre di più segni femminei, qui in questo pianeta le donne assumono su di sé i connotati maschili del western, procedendo verso l’ibrido.
È tutto sfacciatissimo certo, ma viva la faccia! Solo Mandico ha il coraggio di scrivere e girare film che flirtano in questo modo con il gore sapendo ridere e divertirsi mentre lavorano sulle immagini e sul mutamento, l’intersessualità e la malleabilità dei corpi in una lingua che è solo sua e noi dobbiamo imparare a parlare.

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