Lungo tutti i dieci episodi di
The Affair corre una riflessione sulla verità, sulla realtà e sulla forma del racconto che è incredibilmente affascinante. In pratica, ci viene detto indirettamente, il "fatto" in sé smette di esistere nel momento in cui accade, e da quel momento in poi vive, corrotto e sbiadito, solo nella memoria di chi vi ha assistito. A quel punto, la domanda è, che senso hanno il bene e il male? La straordinaria rivelazione di
Showtime non ha mantenuto tutte le promesse del
pilot, si è un po' persa strada facendo, ma con il suo quartetto di protagonisti in stato di grazia, la forte visione autoriale alle spalle e una storia coinvolgente, merita un posto d'onore tra le sorprese dell'anno.
La struttura degli episodi è semplice, ma geniale. Puntate divise in due parti, una raccontata dal punto di vista di Noah (Dominic West), lo scrittore di Brooklyn intrappolato nei legami familiari, l'altra dal punto di vista di Alison (Ruth Wilson), la ragazza di periferia che ha perso un figlio e che fatica ad andare avanti. Le visioni dei due, interrogati a proposito delle indagini su un omicidio del quale scopriremo a mano a mano nuovi risvolti, non sono complementari, ma alternative. Vestiti, dialoghi, caratterizzazioni dei personaggi e svolgimento degli eventi, tutto cambia da un racconto all'altro. Questa è la grande intuizione dei creatori Sarah Treem e Hagai Levi (In Treatment), che si riproporrà in ogni segmento della vicenda, senza mai rivelarci il confine tra verità, finzione o semplice dimenticanza.
The Affair è quindi una sorta di
Rashomon in versione romantic-drama. Noah, Alison e i rispettivi coniugi Helen (
Maura Tierney) e Cole (
Joshua Jackson), sono versioni estremizzate di caratteri plausibili. Estremizzate perché frutto ora di un ricordo, ora di una fantasia. La scrittura, opportunamente sostenuta da una regia che non si distaccherà mai – e come potrebbe? – dal narratore occasionale, ci rivela un mondo personale che è anche il nostro. La realtà esiste perché noi la percepiamo in un certo modo, e la modelliamo secondo i nostri bisogni per proteggerci e confortarci. C'è del vittimismo mai completamente sottolineato, ma sussurrato, in questa vicenda dai contorni sbiaditi in cui ognuno dei due – ma nella prossima stagione dovrebbero arrivare nuovi
point of view – ama dipingersi come la preda di turno.
Grandissima prova del cast. Ruth Wilson, che finora in tv aveva praticamente interpretato solo la distaccata figura di Alice Morgan in Luther, è la punta di diamante. Dona vita e calore ad un personaggio devastato e sofferente, vittima degli eventi e di se stesso. È difficile giustificare i protagonisti della storia – l'unico a salvarsi davvero è Cole – ma nel suo caso l'umanità del personaggio la riscattano in parte. Non si può dire lo stesso per i coniugi Lockhart. È bello come la scrittura ci lasci liberi di odiare i protagonisti, di biasimarli, di insultarli per il loro comportamento: emblematici Noah e Helen, il primo troppo egoista, la seconda troppo pronta al perdono.
L'inizio di serie è folgorante e i successivi episodi lo confermano. La sorprendente incertezza su ciò a cui stiamo assistendo lascia spazio ad una dimensione quasi sospesa degli eventi, in cui dubiteremo di tutto e di tutti, pronti a recepire ogni minimo indizio sul mistero alle spalle della storia.
The Affair, purtroppo, è anche una serie in calo. Fosse stata strutturata come miniserie, con un diverso finale, oggi, chissà, forse staremmo parlando di un capolavoro. Invece ad una prima parte più lineare e dai ritmi lenti subentra una seconda parte più veloce e dinamica, che procede per accumulazione di svolte, alzando nuovi e più traballanti piani su quel grande castello di carte che è la scrittura. E la sospensione dell'incredulità, nonostante tutto, vacilla. Vacilla perché la tensione può essere tenuta in piedi solo fino ad un certo punto, perché la bellissima idea delle versioni alternative rischia di diventare un gioco fine a se stesso, perché c'è un limite spendibile nell'equilibrio tra motivazioni e caratterizzazioni. E
The Affair quel limite rischia di raggiungerlo in fretta.