Adriano Olivetti - La forza di un sogno: la recensione

Buona ricostruzione storica per un personaggio troppo ignorato

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L'importanza della figura storica di Adriano Olivetti, inquadrata com'è nel faticoso processo di ricostruzione economica, sociale e morale di una nazione dopo la Seconda Guerra Mondiale, travalica il risultato ottenuto dal progetto televisivo trasmesso in due puntate dalla RAI per andare a indagare nel valore di un uomo forse non abbastanza conosciuto dalla massa. Ha il volto di Luca Zingaretti questo imprenditore idealista originario di Ivrea, antifascista e visionario, che negli anni '50 tramite l'azienda di famiglia diede una scossa al proprio territorio rivestendo un ruolo da protagonista del "miracolo italiano". La regia di Michele Soavi ne segue le tappe fondamentali dell'esistenza, con un racconto che privilegia la fedele cronaca all'originalità nella messa in scena, il documentarismo alle tensioni umane (che pure sono presenti anche se non rappresentano il punto forte del progetto).

L'idea di narrare tutta la vicenda come un lungo flashback a partire dalla ricostruzione della morte dell'uomo su un convoglio diretto in Svizzera, se da un lato non è eccessivamente originale, al tempo stesso ci pone immediatamente sui binari giusti per l'inquadramento della vicenda (e per chi ha partecipato, o assistito, al meraviglioso carnevale di Ivrea, fa sorridere l'accenno alla tradizione delle arance). Qui per la prima volta, come nel resto della vicenda, la tensione del momento cede di fronte all'aderenza alla verità storica. Di qui un lunghissimo salto all'indietro nel tempo, che ci riporta agli anni '20 e all'ingresso in fabbrica del protagonista.

Ciò che emerge dal racconto è la volontà ferrea di un uomo al confine in un periodo di feroci blocchi contrapposti, di un idealista che si affida alla distensione e al progresso in un periodo nel quale le "convergenze parallele" e ancor più il "compromesso storico" erano ancora ben lontani. Ed è una contrapposizione che si respira tanto in ambito italiano, con il racconto della sfortunata esperienza politica che avrebbe dovuto fungere da mediatrice fra i democristiani e i comunisti (stroncata sul nascere dalla morte di Olivetti) quanto in ambito internazionale, con la vicenda, praticamente parallela, dei timori dei vertici negli States per la possibile concorrenza sul mercato tecnologico. È qui che la vicenda umana di Olivetti, scomparso nel 1960, si collegherebbe a quella di Enrico Mattei, morto nel 1962 (ma si aprirebbe una parentesi troppo grande e che sicuramente non si può trattare in questa sede).

Al netto di questa fedele e curata ricostruzione storica ciò che rimane è la natura più umana e personale dell'uomo. E quindi l'inevitabile passaggio attraverso i lutti, il matrimonio, la separazione, le amicizie e i tradimenti. Zingaretti è il più convincente in un cast di volti noti, ma non sempre sfruttati a dovere – la vicenda di Teresa (Serena Rossi, che già aveva lavorato con Zingaretti in La Vampa d'agosto) e Libero (Domenico Diele) è la più debole, e anche lo stesso personaggio di Stefania Rocca poteva essere giocato meglio – mentre ciò che rimane sono alcuni piccoli suggerimenti visivi, non sappiamo se veri, come il dipinto "L'isola dei morti" che avrebbe ispirato il protagonista nell'inseguire i suoi sogni.

Storia tragicamente vicina e ancor più tragicamente lontanissima da noi, quella di questo imprenditore che combatte i poteri forti, che prospetta un modello di sviluppo sostenibile a partire dal valore del cosiddetto capitale sociale, che ci lascia con la voglia di scoprire di più su una figura troppo in ombra e che meritava un approfondimento simile.

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