Adam, la recensione

A Casablanca tre donne si aiutano a vicenda a superare l'assenza degli uomini. Adam è una storia scaldacuore e tradizionale

Critico e giornalista cinematografico


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Adam, la recensione

Ci sono due storie dentro Adam e il film fa davvero di tutto per esplorarle entrambe, trovando un punto di contatto nell’accudimento femminile. Rivoluzionario dentro i confini del Marocco, paese in cui una donna che sceglie di avere un bambino senza padre ha contro di sé l’opinione pubblica, mentre più tradizionale suona in un paese (come il nostro) in cui scegliere di essere madre è la corrente di pensiero più forte, e più questo avviene contro tutto e contro tutti, più è degno di stima e rispetto, Adam è la storia di una donna incinta che non ha dove andare e che viene accolta a casa di una donna vedova (con figlia). Tre donne che si piacciono e non senza difficoltà integrano le loro due storie fino a che non diventano una sola: la storia di come si muoia e si rinasca senza uomini in un posto in cui pare impossibile.

Il paradigma è un po’ quello del cavaliere della valle solitaria, cioè lo straniero che viene da fuori e risolve le questioni di chi lo accoglie, solo che in questo caso anche il cavaliere ha bisogno di aiuto. E del cinema americano Adam ha anche l’intento di cavalcare ciò che il pubblico pensa in questo senso andandogli più incontro possibile. Storie di avvicinamenti. Samia e il figlio che deve nascere portano nella vita di Abla l’esigenza di andare avanti, ognuna delle due donne riesce ad imporre all’altra di fare quel che lei non riesce a fare per sé, superare l’assenza dell’uomo e quindi diventare autonoma. Fiera.

Tuttavia là dove il cinema americano avrebbe visto la storia dell’elaborazione di un lutto, Maryam Touzani (all’esordio come regista) vede la storia della fine di un lutto e del ritorno al godimento della vita. E la voglia di vivere per questo film marocchino sta prima nel recupero di un rapporto più sano con il cibo (Abla produce dolci ma lo fa con rabbia, Samia la riconcilia con una produzione “piena d’amore”), con la tradizione, la figlia e solo alla fine, al culmine, con se stessa e la propria immagine.

Su tutto regna un’immagine molto tradizionale della donna (in un posto in cui questa, se autonoma, è comunque rivoluzionaria). Le tre donne protagoniste film in modi diversi accudiscono. Samia è accudita da questa nuova famiglia (specialmente la bambina) e a sua volta accudisce Abla, la quale le farà capire che non potrà essere felice se non accudirà suo figlio. Per raccontarlo molta dell’attenzione di Maryam Touzani va verso i gesti, il gesto dell’impastare come quelli che Samia si rifiuta di fare con il figlio. Su tutto così regna quella visione dei sentimenti che viene meno dalle parole e più dalle azioni, quella più cinematografica.

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