About Last Year, la recensione | Festival di Venezia

Intorno ad About Last Year c'è un mondo guardato anche con troppa partecipazione, dimenticando di indagarlo davvero

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di About Last Year, il film presentato alla Settimana della critica del Festival di Venezia

Che sguardo c’è in About Last Year? È un documentario sulla scena ballroom italiana e in particolare quella di Torino (un fenomeno poco noto che il film non racconta benissimo, perché non è quello il punto), concentrato su alcune ragazze e il rapporto che hanno con il loro corpo, che nel ballroom è fondamentale. E lo sguardo in un caso come questo è tutto. È uno sguardo partecipe, estremamente rispettoso, sempre dalla parte delle protagoniste, sempre interessato alla maniera rilassata, coinvolta e felice con cui vivono quest’attività e come del resto questa sembra migliorare attivamente la loro vita. È insomma uno sguardo che sembra interno al fenomeno e forse anche per questo è uno sguardo che ha pochissimo da dire.

Per tutto il lungo periodo nel quale stiamo con queste ragazze, capiamo bene la maniera in cui la ball culture sia centrale per loro, e se non bastasse sentiamo proprio loro spiegare come sia stato cruciale per il rapporto che hanno con il loro corpo. In maniera non diversa dal burlesque l’impressione è che una delle funzioni sia proprio sviluppare un rapporto più sano con il corpo femminile, uno lontano da giudizi e pregiudizi, ruoli e posizionamenti della società. Capiamo il rapporto con il mondo LGBTQI+ e in un momento anche il fatto che tutto questo riceve poi commenti e interazioni “da fuori”, attraverso i social, che non fanno che certificare come invece la scena ballroom (che è una competizione) rimanga uno spazio sicuro.

Paradossalmente a mancare è proprio uno sguardo che indaghi al di là della partecipazione. Il limite About Last Year sta proprio nel sembrare girato dalle stesse persone che partecipano alla scena ballroom, e quindi mai capace di guardare quei soggetti da fuori, mai capace di portare uno sguardo critico e mai capace di notare o esplorare tutto quello che invece a una persona esterna verrebbe voglia di esplorare. Soprattutto è uno sguardo piegato non tanto nell’ammirazione dei corpi, ma nell’ammirazione della serenità, dell’amicizia e della sana competizione, una visione totalmente idilliaca che a un certo punto fa compiere il salto dall’impressione di un documentario realizzato dalle stesse persone ritratte, a uno proprio finanziato da loro.

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