Abigail, la recensione

Dietro ad Abigail non c'è una sofisticata idea di scrittura (anzi!) ma una voglia divertirsi e poi la capacità di farlo, che da sole bastano

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Abigail, il film di con Melissa Barrera in uscita in sala il 14 maggio

Sarebbe il caso di vedere Abigail completamente ignari di che film sia, se non fosse che già il trailer mostra quello che avviene nella seconda metà e la locandina rivela la vera identità del film. Per il bene dei lettori che sono ancora all’oscuro non riveleremo qui di cosa parli Abigail ma solo le sue premesse, cioè il fatto che inizi con un gruppo di criminali che sembrano usciti ognuno da un sottogenere diverso dei film d’azione o polizieschi, riuniti per un colpo in una villa opulenta: rapire una bambina di 12 anni che torna a casa dopo la sua lezione di danza classica. 

C’è il duro, lo scemo grosso, il ragazzo un po’ fatto, la hacker con gomma da masticare ricca in cerca di emozioni, la donna risoluta con una famiglia a cui tornare e il militare tutto d’un pezzo. Ma non sono solo i personaggi, tutto nel film, già dopo pochi minuti dall’inizio, scarica addosso allo spettatore una quantità esagerata di stereotipi: la bambina ricca che fa danza classica, la grande casa vuota in cui lei pare abbandonata da genitori assenti, i SUV neri che la scortano, i criminali che sono bastardi e cattivi gli uni con gli altri e l’uso antifrastico della musica classica per evocare l’opposto di ciò a cui la collegheremmo.

E non finisce qui l’infornata di luoghi comuni: i criminali tra una litigata e un attacco isterico per la tensione portano la bambina in un maniero gotico nel quale trovano la persona che ha commissionato loro il lavoro. È fatta. Per incassare i soldi devono solo aspettare 24 ore lì dentro sorvegliando la bambina, e meglio non chiedere di chi sia figlia. Già fino a questo punto è evidente il maggior pregio di Abigail, il fatto che a fronte di un abstract sciatto e di una sceneggiatura che non ha nessun interesse a imbastire uno scenario personale o distintivo, lo stesso scorre benissimo. Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett (lo stesso duo dietro il reboot di Scream e Finchè morte non ci separi) sanno fare il massimo uso del materiale che hanno a disposizione e quando, chiusi i protagonisti nel maniero, arriva il momento di svelare la vera natura del film e iniziare la parte d’azione, questo torna molto utile.

Abigail è esattamente un misto di Scream e Finchè morte non ci separi, è un film d’azione con gran passione per il sangue, gli spari e le esagerazioni a contrasto (lì era il vestito da sposa e il fucile, qui c’è di mezzo la classica e il balletto) che continuamente si ricorda di voler essere anche una commedia. È il suo vero pregio, abbracciare un’idea di cinema godereccia in cui le cose non avvengono per dimostrare qualcosa o per giungere a un’immagine, ma come scusa per facili e emozioni e sicure conclusioni (la famiglia è importante!). Il suo abito di genere insomma lo sa indossare bene, anche se per tutto il tempo sembra dover pagare una scommessa: riuscire a fare un film intero riproponendo solo situazioni, dialoghi, scene e svolte convenzionali, già viste in almeno 10 film. Ma la scommessa la vince perché, molto semplicemente, sa come divertirsi, che è quello che fa la differenza tra una scemenza con cui ridere e una di cui ridere.

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