A week away, la recensione

Diretto da un navigato regista di video musical e film adolescenziali quale Roman White, A week away è un sincero coming of age dai toni comici e leggeri, che rappresenta senza pretese ma con efficace leggerezza i problemi tipici dell’adolescenza

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Diretto da un navigato regista di video musical pop e film adolescenziali quale Roman White, A week away è un sincero coming of age dai toni comici e leggeri, che rappresenta senza pretese ma con efficace leggerezza i problemi tipici dell’adolescenza (i primi amori, l’insicurezza nel relazionarsi coi propri coetanei, la paura di essere giudicati), comunicando una sincera affezione per ciò che sta raccontando e, senza mai celarla, una fede cattolica spiccata, che fa da padrona al senso stesso della storia: i piani divini sono misteriosi ma bisogna avere fede nonostante le avversità.

A week away è di fatto un film su una vera e propria conversione, nello specifico quella di Will (Kevin Quinn) un ragazzo orfano inizialmente perso su una via sbagliata (fatta di furti e altre bravate) a cui viene data la possibilità di redimersi andando a un campo estivo cattolico. In compagnia di George (Jahbril Cook), figlio della tutrice, passa una settimana che lo cambierà per sempre: tra l’amore per una ragazza (interpretata da Bailee Madison) e le sfide atletiche a squadre a contornare il tutto, alla fine dei sette giorni non solo Will non avrà più paura di raccontare il suo passato, ma abbraccerà totalmente il credo cattolico, riconoscendo nella comunità del camping e nei suoi valori il suo nuovo orizzonte sociale.

La regia di White riesce a controllare con grande sicurezza i momenti di musical, né creando confusione con le riprese corali né rimanendo troppo su singoli personaggi (due eccessi in cui pecca la maggior parte dei musical diretti da chi non ha la mano per farlo), trovando una sua quadra che, se non è particolarmente esplosiva e stilisticamente impressionante, fa bene il suo mestiere. Perfettamente calati nella storia sono anche i giovani attori, i cui visi acqua e sapone e le cui insicurezze, ben misurate ai ruoli che interpretano, esprimono una sincera innocenza (o meglio una castità simbolica), aiutando il film a posizionarsi esattamente in quella “medietà che non esagera mai" e in quel tono sempre ligio al controllo che lo contraddistingue fin dall’inizio (fa però un po' ridere, involontariamente, vedere David Koechner nei panni nel buon cattolico, essendo questo un attore ormai marcato di default da una comicità invece molto scorretta dai tempi di Anchorman...).

La pecca più grande di A week away, nel suo essere così pulito e composto, è allora proprio la premessa: il personaggio di Will, infatti, è così gentile, educato e altruista che proprio non si capisce come possa essere stato capace, secondo gli antefatti che vengono raccontati, di quei comportamenti ribelli a cui si fa costante riferimento. Roman White riesce però a glissare con grande eleganza su questo particolare, riempiendo il film di talmente tanti momenti musicali, forse un po’ ripetitivi ma sempre ben scanditi, e di tanta dolcezza tutta adolescenziale - sì cattolica ma mai esageratamente moralista, e che anzi sa scherzare su sé stessa - che questo particolare gli può essere tutto sommato perdonato.

La cosa invece più palese e sì fastidiosa di A week away è invece a sua color correction, che, desaturando troppo, appiattisce tutto verso un triste grigino, privo di contrasti. Insomma, tutto il contrario di quello che ci si aspetta da un musical così allegro e positivo, dove i colori dovrebbero vibrare.

Cosa ne dite della nostra recensione di A week away? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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