A Way Out, non si evade da soli - Recensione

Gli autori di Brothers: A Tale of Two Sons ridefiniscono il senso e il significato della cooperazione tra utenti: la recensione di A Way Out

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Quello che si instaura tra Leo Caruso e Vincent Moretti è un rapporto quasi simbiotico, utile ad entrambi, necessario per sconfiggere un nemico comune. Due nemici comuni, per la precisione.

Il primo, imponente e granitico, ha le fattezze del carcere di massima sicurezza in cui sono stati rinchiusi. L’altro, antropomorfo, ma ben più pericoloso, risponde al nome di Harvey, reo di aver incastrato il duo, oltre che di essere un signore del crimine di fama internazionale, disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi.

Italo-americano dall’autocontrollo altalenante il primo, più introspettivo e riflessivo l’altro, i due si incontrano quasi per caso, scoprendo di avere ambizioni ed aspirazioni molto simili, tra le quali il riacquisire la libertà sottrattagli è in testa alla lista. Se da soli è praticamente impossibile farlo, insieme si può persino sperare di riuscire a vendicarsi del torto subito.

[caption id="attachment_183694" align="aligncenter" width="1000"]A Way Out screenshot Basket, baseball, Forza 4: ci saranno diverse attività secondarie a cui sarà un piacere dedicarsi per spezzare di tanto in tanto l’azione.[/caption]

È questo il motore, la benzina di A Way Out, titolo action particolarmente attento all’aspetto artistico, ben visibile in una regia debitrice nei confronti di maghi della cinepresa del calibro di Martin Scorsese e Quentin Tarantino.  Il piano sequenza con cui si apre l’avventura, in questo senso, testimonia piuttosto bene la sensibilità e l’attenzione al dettaglio di Josef Fares, noto in campo videoludico per aver ideato quel piccolo capolavoro di Brothers: A Tale of Two Sons, titolo che, a posteriori, rappresenta solo il primo passo dell’indagine personale del game designer svedese nei confronti della co-op.

A Way Out, questa la grande particolarità dell’esperienza offerta, non prescinde dalla cooperazione tra due giocatori, espediente infrangibile e assolutamente necessario per avviare la partita. Online, ma anche in locale, dovrete obbligatoriamente trovarvi un compagno che vi supporti costantemente nel corso dell’evasione e conseguente vendetta del duo.

Il compromesso, nell’epoca degli alleati controllati da buone I.A., ha un retrogusto sicuramente anacronistico, ma è imprescindibile per carpire appieno la filosofia di fondo della produzione. Trovato l’amico ideale, difatti, ci si accorge sin da subito che la comunicazione è fondamentale anche per affrontare le primissime difficoltà, quelle che vi porteranno ad evadere di prigione, sezione che combacia con la parte meno ispirata e stimolante dell’intera avventura."A Way Out, questa la grande particolarità dell’esperienza offerta, non prescinde dalla cooperazione tra due giocatori, espediente infrangibile e assolutamente necessario per avviare la partita"

Sulle prime, difatti, si tratterà di seguire pedissequamente un sentiero ampiamente prestabilito, completando piccoli incarichi che, a ben vedere, sfruttano solo superficialmente la cooperazione tra Leo e Vincent. Lo split-screen, tuttavia, è un artificio, estetico e funzionale al gameplay, che regala costantemente un pizzico di brio. Oltre a poter tenere sotto controllo le operazioni del partner, spesso lo schermo si affolla di ulteriori inquadrature, ora asservite ai capricci del regista-designer, ora d’aiuto per avere più chiara la situazione.

Riguadagnata la libertà, A Way Out si apre ad un’inaspettata varietà, un polimorfismo che si alimenta di continui cambi di registro e di gameplay. C’è una sezione shooter, una che non sfigurerebbe in un qualsiasi beat ‘em up, l’immancabile infiltrazione stealth, una serie di rocamboleschi inseguimenti. A sorprendere è efficacia con cui il sistema di controllo si declina perfettamente a tutte le situazioni proposte, così come il level design, mai derivativo, ripetitivo, superficiale.

A beneficiarne maggiormente di questa estrema ricchezza ludica, è naturalmente la componente cooperativa, che sboccia (finalmente) e si espande in una serie di trovate davvero riuscitissime, capaci di costringere i videogiocatori a collaborare e coordinarsi alla perfezione.

Ancora una volta, tuttavia, è l’aspetto artistico ad emergere. Laddove il motore grafico mostra il fianco a qualche critica di troppo, tra texture sgranate e animazioni estremamente legnose, la regia è sempre capace di restituire l’adrenalina, durante le fasi più concitate, e la tenue poesia, nelle occasioni in cui Leo e Vincent condividono le loro preoccupazioni, i loro sogni, le loro speranze per il futuro. La sceneggiatura, in questo senso, ci regala due personaggi tuttotondo, credibili, con cui è facile entrare in empatia. Gare di braccio di ferro, sfide a Forza 4, partitelle a basket, sono tutti espedienti che espandono ulteriormente il gameplay, certo, ma che servono a conoscere meglio i protagonisti, a capirne le motivazioni che li hanno spinti verso la malavita.

Anche e soprattutto per questo, quando si tratterà di prendere decisioni capaci di influire sul proseguo dell’avventura, ci si ritrova a titubare, a soppesare le eventuali conseguenze che potrebbe avere l’avventatezza suggerita da Leo o l’eccessiva reticenza consigliata da Vincent.

[caption id="attachment_183695" align="aligncenter" width="1000"]A Way Out screenshot La regia abusa con gli split-screen. È una tecnica ben sfruttata, ma in alcune situazioni, con uno schermo di dimensioni contenute, può diventare un problema.[/caption]

A Way Out non è un prodotto perfetto. Graficamente è molto povero, inoltre la prima parte è tutt’altro che emozionante, fin troppo incentrata sulla presentazione dei personaggi. Eppure si tratta di un’avventura a tratti indimenticabile, impreziosita da una regia e una sceneggiatura di prim’ordine.

Quasi inutile, se non frustrante, senza il giusto compagno, è un prodotto unico nel suo genere, a tratti geniale, coraggiosissimo e riuscito sia dal punto di vista ludico, grazie alla varietà del gameplay, sia da quello artistico.

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